E dove non poté nemmeno Caligola, riuscì invece Donato Toma (a destra nella foto), presidente berlusconiano del Molise, la regione che non esiste. Azzerare la Giunta regionale, mandare a casa in un colpo solo cinque assessori, e al loro posto nominare un esecutivo di due soli componenti, lui stesso e Maurizio Tiberio, suo segretario particolare tuttofare.
Succede in Molise, consueto laboratorio privilegiato per sperimentare in vitro tutte le più impronunciabili alchimie politiche, economiche e da oggi anche istituzionali, al riparo dai riflettori della stampa, dell’opinione pubblica e spesso degli organi di controllo.
E così in una terra di nessuno può persino accadere che si modifichi la legge elettorale con effetto retroattivo, mettendo fuori gioco gli avversari scomodi nel bel mezzo della partita e modificando la composizione del Consiglio regionale. Un vulnus da non crederci, così imbarazzante da far quasi scomparire l’oggetto dei moniti di queste ore della presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia sulla Costituzione presidio di legalità anche in tempi d’emergenza.
Per comprendere la sinfonia di strappi, violazioni e probabili illegittimità è necessario fare un passo indietro e considerare i fatti nella loro sequenza cronologica.
La legge elettorale molisana vigente prevedeva, accanto alla regola della incompatibilità tra la carica di consigliere e quella di assessore, anche la “supplenza” dei consiglieri nominati assessori, sostituiti dai primi dei non eletti: questa è la legge con cui sono stati eletti Toma e il Consiglio regionale e tale è rimasta fino a quando qualche consigliere supplente ha cominciato a storcere il naso sulla gestione del Governatore, il quale ha pensato bene di liberarsene. E così, per evitare imboscate nella sessione di Bilancio, ecco l’idea geniale. Il 17 aprile Toma chiede a tutti i suoi assessori di dimettersi, dunque li revoca in modo da farli rientrare in Consiglio al posto dei supplenti dissidenti, nel frattempo decaduti, giusto in tempo per consentirgli di votare la manovra finanziaria da loro stessi approvata in Giunta. Come se nulla fosse, l’incredibile cambio d’abito trasforma il controllato (l’assessore) nel controllore (il consigliere) nello spazio di un mattino.
Basterebbe questo scioglilingua per gridare allo strappo della Costituzione, che svilisce la separazione dei poteri legislativo ed esecutivo e il principio di rappresentanza democratica.
Ma non finisce qui. La sorpresa arriva in Consiglio: lo stesso Toma presenta un emendamento per abrogare l’articolo della legge elettorale che prevede l’incompatibilità tra assessori e consiglieri, lasciando così fuori dal Consiglio per sempre i dissidenti, anche nell’ipotesi di nuova nomina degli stessi assessori poco prima revocati.
I dissidenti non ci stanno e ricorrono al Giudice, denunciando, tra gli altri vizi, l’anomalia di una Regione senza Giunta. E già, perché il Presidente ha revocato gli assessori ma ha dimenticato di rinominarne altri. Che fare, allora, per schivare la mina del Tar? Ecco l’uovo di Colombo, anzi il cavallo di Caligola: la nomina di Maurizio Tiberio, già Forza Italia, poi Margherita, poi Italia dei Valori, poi a bordo del partito per una notte di Corrado Passera, poi con Quagliariello e poi di nuovo in Forza Italia, nella segreteria politica del Presidente Toma nei panni del braccio destro factotum. E oggi di assessore. Senza deleghe, alle varie ed eventuali. Un esecutivo a due non si è mai visto nella storia delle scienze politiche e delle comunità organizzate, almeno sin dai tempi di Nerazio Prisco a cui si attribuisce il brocardo “duo non faciunt collegium” per il motivo persino banale che l’organo collegiale diventerebbe di fatto monocratico, in violazione della Costituzione, oppure paralizzato per sempre, in virtù dell’azione combinata di due paradigmi paradossali: il voto del presidente che prevale in caso di parità, bilanciato dal potere di veto in capo all’altro componente il quale, ove contrario, né impedirebbe il funzionamento semplicemente decidendo di non partecipare alla seduta, dovendo l’Organo deliberare con la maggioranza dei componenti. Un bel pastrocchio che promette nuovi colpi di scena.
Lunedì infatti è prevista la nomina della nuova Giunta, già annunciata come identica alla vecchia dallo stesso Presidente. Con la differenza che gli assessori rinominati rimarranno anche consiglieri, estromettendo per sempre quelli che furono i supplenti per effetto della modifica delle condizioni di incompatibilità in corso di legislatura. Con buona pace della Costituzione e degli argini democratici allo strapotere dei governanti.