Correre sì, giocare no. La differenza è semplice. Anzi, quasi “costituzionale”: tutti i cittadini sono uguali, pure gli atleti. Da oggi inizia la Fase 2 e riprenderanno gli allenamenti. Anche per il pallone. Quello che inizialmente era stato proibito, adesso è concesso: i calciatori, come i tesserati di qualsiasi altro sport di squadra, potranno ritrovarsi sul campo, purché lo facciano in sicurezza e svolgano gli allenamenti da soli.
La svolta è arrivata nel weekend tra sabato e domenica, sulla scorta delle ordinanze di Emilia-Romagna, Lazio e Campania. Tra i vari cortocircuiti del coordinamento della Fase 2 tra Stato e enti locali rischiava di esserci pure lo sport, anzi il pallone, visto che si è capito subito che le sedute di alcune squadre come Lazio e Napoli sarebbero diventate un caso nazionale, se non proprio politico. Data la risonanza mediatica, l’esecutivo non avrebbe potuto far finta di nulla: si trattava di andare al braccio di ferro con i governatori (e non governatori qualsiasi: il presidente del Lazio, Nicola Zingaretti, è anche il segretario del Pd), oppure di assecondare la deroga. Ha prevalso il buon senso, che coincideva con l’opportunità politica: con una circolare del Viminale inviata ai prefetti il governo ha dato l’ok alla ripresa degli allenamenti individuali anche per gli sport di squadra, di fatto smentendo il suo stesso decreto di appena una settimana fa.
C’era qualcosa di profondamente ingiusto in quel Dpcm. Si potrebbe dire quasi di “punitivo”: se un atleta corre da solo su un campo, non cambia nulla che si tratti di un calciatore o di un tennista, un rugbista o un maratoneta. La decisione del governo di limitare la ripresa solo alle discipline individuali era stata presa per il calcio e contro il calcio. Vincenzo Spadafora non si era fidato degli inaffidabili presidenti del pallone, della promessa di rispettare impossibili protocolli sanitari: chi avrebbe controllato i club una volta chiusi nei loro ritiri dorati? Il ministro ha reagito alle continue pressioni del pallone, alle sue eccessive richieste di corsie preferenziali. Ma ha reagito male, con un provvedimento eccessivamente vessatorio. E le esagerazioni tornano sempre indietro, come un boomerang.
Vale anche per Spadafora, che ha dovuto incassare la circolare del Viminale. Così da oggi la Serie A si rimette parzialmente in moto, in ordine sparso: Sassuolo e Inter subito, Lazio e Roma nella seconda metà della settimana, il Napoli farà prima i tamponi a tutti (quindi se ne parla nel weekend), Atalanta, Milan e Brescia non hanno ancora fissato date precise, la Juventus metterà in quarantena i giocatori che tornano dall’estero, l’Udinese per ora resta ferma in attesa dell’ok al protocollo sanitario.
Come si capisce anche dai diversi atteggiamenti dei club, c’è una bella differenza fra tornare sul campo ed allenarsi. Le corsette autorizzate sono ben altra cosa rispetto alle sedute nei ritiri blindati a tamponi battenti che ipotizzava l’inattuabile protocollo Figc, che di fatto è stato bocciato, anzi rimandato, dal governo. Ai fini della ripresa del campionato non è cambiato molto. Soprattutto, non è cambiato lo spirito del ministro, come ha tenuto a chiarire il diretto interessato: “Leggo cose strane in giro, ma nulla è cambiato rispetto a quanto ho sempre detto sul calcio: gli allenamenti delle squadre non riprenderanno prima del 18 maggio e della ripresa del campionato per ora non se ne parla proprio”.
Il ministro dello Sport resta contrario. Ed è lui che comanda. Per giocare serve l’ok del comitato tecnico scientifico, che però ha altre priorità, e bisogna sciogliere la grande incognita delle nuove positività (al primo contagio la squadra sarà messa in quarantena?) su cui non sembrano esserci soluzioni. La ripresa non è poi più vicina, tanto che secondo indiscrezioni a breve il governo potrebbe anche mettere la parola fine alla telenovela, con un decreto in stile Francia che vieti le attività agonistiche fino a settembre. A quel punto comincerebbe un’altra partita, su cosa fare della stagione troncata. Intanto però che i calciatori tornino pure a correre e a sentire il profumo dell’erba, dopo due mesi di lockdown. Come tutti gli altri, che poi è il messaggio che il ministro Spadafora ha tanto a cuore ma per un momento forse si era dimenticato. Non sono privilegiati, ma neppure discriminati.