Cronaca

Mantova, donna incinta trattata con il plasma iperimmune: Nas chiedono informazioni. Primario: ‘Nessun problema, in 80 curati così’

L'ospedale Carlo Poma di Mantova in collaborazione con il San Matteo di Pavia, sta sperimentando questa terapia che prevede l'infusione di plasma proveniente da un paziente infetto e poi guarito nei malati. Si tratta di una cura sperimentale "somministrata fuori protocollo in ambito compassionevole" ma che sta dando risultati positivi

I Nas hanno chiesto informazioni all’ospedale Carlo Poma di Mantova sulla donna incinta guarita dal coronavirus con la somministrazione di plasma iperimmune. La struttura, in collaborazione con il San Matteo di Pavia, sta sperimentando questa terapia che prevede l’infusione di plasma proveniente da un paziente infetto e poi guarito nei malati. Si tratta di una cura sperimentale “somministrata fuori protocollo in ambito compassionevole” ma che sta dando risultati positivi, come spiegato da Giuseppe De Donno, primario del reparto di pneumologia, che sta procedendo con la cura. “Il nostro protocollo è ambizioso. Tra Mantova e Pavia abbiamo trattato quasi 80 pazienti col plasma di guariti da Covid-19 e di tutti questi pazienti, che avevano problemi respiratori gravi, nessuno è deceduto, la mortalità del nostro protocollo finora è zero“.

Il direttore generale dell’Asst di Mantova, Raffaello Stradoni, ha confermato la telefonata ma smentisce l’acquisizione di cartelle cliniche: “Non so perché – ha detto – i Nas si siano interessati della vicenda della donna incinta. Il protocollo sperimentale è rigido e consente il trattamento solo su alcuni pazienti con determinate caratteristiche”. Nel protocollo, però, non sono previste infusioni su donne in stato interessante: “Ma quel caso – risponde Stradoni – rischiava di finire male e, quindi, abbiamo proceduto, salvando due vite“. E De Donno: “I Nas – ha detto – hanno fatto una semplice telefonata in ospedale per raccogliere sommarie informazioni su quello che stavamo facendo. Dopo quella telefonata non ho più sentito nulla e sono trascorsi alcuni giorni”. E sul caso della donna incinta per lui è “tutto in regola“.

La terapia con il plasma iperimmune, utilizzato in pazienti con Covid-19 in condizioni critiche, è diventata molto popolare sui social, aprendo il dibattito fra gli addetti ai lavori sulla sua efficacia. A Mantova “abbiamo creato una banca del plasma” e “siamo riusciti, insieme con Pavia, a realizzare questa sperimentazione che è molto seria. Abbiamo cercato di trovare un’arma magica – ha proseguito De Donno in un intervento a Radio Cusano Campus – che ci permettesse di salvare più persone possibili. Non abbiamo mai detto di aver creato qualcosa di nuovo, abbiamo perfezionato un’idea che già esisteva”.

Il nostro protocollo, ha sottolineato, “è ambiziosissimo. Tra Mantova e Pavia abbiamo trattato quasi 80 pazienti col plasma. Di tutti questi pazienti, che avevano problemi respiratori gravi ma non gravissimi, nessuno è deceduto, la mortalità del nostro protocollo finora è zero“. Descrivendo quindi il protocollo adottato l’esperto ha spiegato che sono stati arruolati volontariamente donatori di plasma. I donatori, precisa, “devono avere delle caratteristiche fondamentali: devono essere donatori guariti da coronavirus. La guarigione viene accertata con due tamponi sequenziali e la diagnosi deve essere stata fatta con un tampone positivo. Questi donatori guariti ci donano 600 ml di sangue. Tratteniamo quindi il liquido che ha come caratteristica fondamentale la concentrazione di anticorpi, tra cui quelli contro il coronavirus”. Adesso però, “ogni volta dobbiamo chiedere l’autorizzazione al Comitato etico e questo – afferma – è un impedimento enorme perché ci fa perdere tempo prezioso per salvare le persone”.

Il plasma, chiarisce, “può essere congelato e durare fino a 6 mesi in stoccaggio, per questo a Mantova abbiamo creato una banca del plasma. Riusciamo anche ad aiutare altri ospedali che ci stanno chiedendo aiuto. Creando banche plasma in giro per l’Italia – conclude De Donno – riusciremmo ad arginare un’eventuale seconda ondata” dell’epidemia di Covid-19.