di Francesco Pastore e Francesco Giubileo
Il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, ha dichiarato in una videoconferenza che “la lotta contro il caporalato deve continuare, facendo in modo che l’incrocio fra domanda e offerta avvenga in modo trasparente”. Si tratta di parole senz’altro condivisibili. Il ministro ha anche aggiunto che la Regione Lazio sta sperimentando una app ad hoc e che si sta lavorando per applicarla poi a livello nazionale.
L’app in questione si chiama FairLabor. Si tratta di un’applicazione molto semplice e facile da utilizzare. Tuttavia, non è un portale del lavoro, ma, con l’app, il singolo lavoratore si iscrive automaticamente alle liste di collocamento dei Centri per l’impiego. Se un datore sceglie la sua figura professionale, avverrà uno scambio di dati per permettere all’impresa di contattare il bracciante. Inoltre, il contratto di lavoro e l’iscrizione alle liste di prenotazione, permettono al lavoratore di accedere a un importante servizio: quello del trasporto pubblico verso e dai campi.
L’iniziativa promossa dalla Regione Lazio è lodevole: ha l’obiettivo dichiarato di contrastare il lavoro “sommerso” ed il caporalato nel lavoro nei campi. C’è il rischio, però, che, in primo luogo, la piattaforma sarà utilizzata solo da quei datori di lavoro che vogliono utilizzare manodopera regolare. Purtroppo, le piattaforme disponibili sul mercato per cercare manodopera in nero sono tantissime e gratuite. In molti casi, si tratta di semplici annunci sui social media. Quindi, la novità è costituita più dal servizio di trasporto che dal matching in sé e per sé.
Inoltre, l’idea delle “liste di collocamento”, le cosiddette Scica (Sezione circoscrizionale dell’impiego ed il collocamento in agricoltura) richiama strumenti del 1987 e, forse, stonano con il fatto che siamo nel 2020 e l’innovazione delle piattaforme digitali è andata oltre al semplice fatto di poter iscrivere il candidato tramite un’app.
Inoltre, l’app si presta alla selezione di professioni non qualificate (come i braccianti appunto), ma avrà certamente difficoltà a trovare figure più tecniche, perché in Italia sono pochi coloro che hanno tali qualifiche e non passeranno sicuramente dalle liste di collocamento.
Tuttavia, il punto più critico è che il ministro sembra ignorare che già dispone di una piattaforma online – MyAnpal – che è costata finora circa 100 milioni di euro (spese e struttura nata su decisione dei governi precedenti) e che dovrebbe essere alla base del progetto del Reddito di Cittadinanza.
Inoltre, per realizzare questa piattaforma, è stato chiamato dagli Stati Uniti (per volere di Luigi Di Maio, ex-leader dello stesso partito del ministro) il prof. Mimmo Parisi, nominato peraltro Presidente di Anpal proprio con il compito di implementare il know-how del portale americano chiamato Mississippi Works, di cui, vogliamo essere chiari, non c’è ancora nulla di funzionante.
Tale piattaforma, attraverso machine learning delle fonti amministrative, dovrebbe sviluppare un motore di ricerca del lavoro e una sorta di assistente virtuale per accompagnare i disoccupati nel loro percorso di riqualificazione e ricollocazione nel mercato del lavoro.
Si tratta di un percorso complesso, che entrambi gli autori temono non sia del tutto chiaro allo stesso ministro Catalfo. Altrimenti, non avrebbe suggerito un’app che svolge semplicemente la raccolta delle iscrizioni alle liste di collocamento quando puoi sviluppare un modello di “profilazione” dell’utente così avanzato. Onestamente, l’app della Regione Lazio sembra molto più rudimentale.
Facendo seguito a tali ragionamenti, suggeriamo al ministro di parlarne con il Presidente di Anpal, prima di lanciare altre piattaforme che rischiano di non produrre valore aggiunto significativo nella fase di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro. A ciò si aggiunga il fatto che esistano ancora le Scica del 1987. A nostro giudizio tutto ciò fa sorgere il dubbio che ci sia un problema serio, vale a dire un tremendo digital divide della tecnostruttura pubblica, che pensa che l’innovazione consista nell’aver creato un’app.
In un mondo che, per effetto della crisi sanitaria, sarà sempre più digitalizzato, riscontriamo una forte criticità nella polarizzazione tra l’ambito pubblico – burocratico, lento e poco incline all’innovazione (sviluppare piattaforme come quella di Parisi costa tantissime energie, in molti si saranno detti ma chi me lo fa fare?); e il privato, dove nascono spin-off Universitari, start-up innovative che parlano di chatbot, realtà e assistenti virtuali e infinite possibilità. Il paradosso è che molti di questi strumenti innovativi potrebbero costare un millesimo di quanto oggi si è speso per il portale MyAnpal.