Il coronavirus travolge la sharing economy. Airbnb riduce la sua forza lavoro del 25% tagliando 1.900 dipendenti, Lyft ne sopprime il 17%, Uber annuncia che lascerà a casa 3.700 lavoratori, il 14% del totale, e avverte che potrebbero esserci ulteriori tagli dei costi.

“Stiamo valutando diversi scenari e tutti i costi, sia variabili sia fissi. Vogliamo muoverci rapidamente e trattenere nella società il maggior numero di persone possibile, trattando tutti con dignità e rispetto”, ha detto la numero uno Dara Khosrowshahi che rinuncia al suo salario di base per quest’anno. A metà marzo Khosrowshahi aveva messo in guardia gli investitori spiegando che i lockdown stavano affossando le corse condivise, in calo allora del 70% a Seattle, una delle prime città americane a chiudere. I blocchi si sono poi allargati a tutti gli Stati Uniti che in aprile hanno fermato tutte le attività per cercare di contenere il coronavirus.

I mezzi di trasporto condivisi sono considerati uno dei potenziali maggiori veicoli di diffusione del virus e così Uber e le sue rivali si sono praticamente fermate di fronte a una domanda ai minimi. Il nodo ora è cosa accadrà andando avanti, se i consumatori recupereranno fiducia e se si sentiranno più sicuri su un’auto condivisa che sulla metro o sull’autobus.

Airbnb dal canto suo ha annunciato i tagli il 5 maggio: in una email dipendenti riportata dal Wall Street Journal, l’amministratore delegato Brian Chesky spiega che il gruppo delle case in affitto stima per quest’anno “meno della metà” dei ricavi dello scorso anno a fronte del blocco dei viaggi.

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