di Margherita Cavallaro
Mentre affronto l’apocalisse zombie in pigiama e tra una crisi di panico a lavoro e l’altra, ho pensato che non sarebbe male smetterla di procrastinare e allietare i lettori con un nuovo blog. In realtà era da qualche mese che mi veniva chiesto di scrivere delle zone Lgbt-free in Polonia, ma non l’ho mai fatto finora perché non riuscivo a trovare nulla di costruttivo o originale da dire al riguardo.
Questa quarantena e le reazioni che ha suscitato, però, mi hanno folgorato sulla via di Damasco. Per qualche motivo, quando mi sono messa a pensare “Ma possibile che la gente non capisca che se ne deve stare a casa?” il mio cervello ha immediatamente associato il “Ma che bisogno hanno i gay di ostentare? Se ne stessero a casa loro!”. Giustamente le due cose sono molto diverse, ma analizziamo un attimo la situazione per capire perché il mio cervello le abbia associate.
Prima però promettetemi una cosa, a scanso di equivoci: l’unica cosa su cui vi voglio portare a riflettere sono le sensazioni e le reazioni al vivere in condizione di sospensione dei diritti civili. Evitiamoci sterili discussioni idiote sul tema malattia e omosessualità perché non c’entra assolutamente niente con quanto seguirà, né questo vuole essere un tentativo di fare a gara a chi sta peggio. Io ve l’ho detto: vai regia!
Gli italiani sono stati istruiti di rimanere in casa ed evitare comuni interazioni sociali, prima con le buone e poi con le cattive. In altre parole, gli è stata imposta una restrizione che loro vedono come una lesione dei loro normali diritti. Qual è stata la loro reazione? Prima se ne sono fregati, poi hanno protestato, poi hanno iniziato a metter musica e a fare festa dai loro balconi, poi hanno creato manifestazioni organizzate di speranza e orgoglio per quello che sono nonostante non possano andare ad esserlo fuori. Parallelamente a questo ci sono sempre stati quelli che hanno continuato a fregarsene e quelli che, invece, hanno fatto finta di essere altro e si sono spacciati per fanatici dello sport. Ancora non vi dice niente?
Veniamo dunque al 4 maggio, giornata sacra per tutti i fan di Star Wars e fatidico giorno da cui tutti possono, all’interno della regione, andare a trovare i propri affetti stabili. Con quanta religiosità avete seguito gli sviluppi delle discussioni sui provvedimenti e sulla fase 2? Con quanta trepidazione vi siete appesi alle labbra di Conte, sperando che fosse abbastanza clemente con voi da permettervi di tornare a lavorare, di uscire in due tenendovi per mano, o semplicemente riottenere il diritto di andare a trovare il/la vostro/a partner senza mentire a riguardo o avere paura di essere fermati dalla polizia?
Con quanto giubilo festeggerete il poter tornare liberamente a lavorare, ad avere e battezzare figli, a sposarvi? Vorrete forse scendere in piazza con la musica, a ballare insieme per festeggiare il poter essere fuori in libertà? Vorrete ricordarvi di questi strani giorni e commemorare quanti sono morti, uccisi da qualcosa che non riuscivate a combattere, mentre voi eravate prigionieri in casa vostra? Ancora niente?
Ve lo dico io: questa è la condizione in cui noi persone Lgbt+ abbiamo vissuto per secoli e in cui in nazioni come la Polonia ancora viviamo. Per voi non poter uscire a fare cose “normali” e dipendere dalla clemenza di un governo per avere diritti fondamentali è una novità, mentre per molti di noi questa è l’unica realtà che si abbia mai conosciuto. Ora potete capire come ci si sente. L’unica differenza, ed è una differenza colossale e fondamentale, è che a voi questa condizione è stata richiesta come atto di civiltà per salvare delle vite, mentre noi questa consolazione non l’abbiamo mai avuta. A noi questa condizione è stata imposta solo perché tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri ed è quindi una restrizione fondamentalmente immorale e incivile.
Che sia chiaro: non sto scrivendo questo blog per dirvi “vi sta bene”. Lo sto scrivendo perché spero che la prossima volta che vi chiederete perché abbiamo bisogno di “ostentare”, di baciarci e tenerci la mano in pubblico, di festeggiare il Pride, di avere i nostri club, di avere la libertà di ufficializzare le nostre relazioni, di avere i nostri figli riconosciuti e di poter fare il nostro lavoro senza nasconderci, riuscirete a darvi la risposta da soli.
Questo blog non l’ho scritto per farvi sentire in colpa, ma nella speranza che adesso riuscirete a capire la nostra condizione storica e a vederci con un po’ di empatia. In fondo siamo tutti italiani e ce la faremo. Insieme.