Non è una cura segreta, nonostante sui social stia montando una polemica e nonostante la doverosa prudenza degli scienziati e ricercatori, sembra efficace. Già utilizzata per Ebola e Sars è stata somministrata a Wuhan (Cina). Al San Matteo di Pavia studiano i dati per pubblicare ricerca
La plasmaterapia non è una cura segreta, nonostante sui social stia montando una polemica e nonostante la doverosa prudenza degli scienziati e ricercatori, sembra efficace. Ma non solo: l’aferesi produttiva, la tecnica che permette di estrarre dal sangue piastrine globuli rossi e bianchi e il plasma (la parte liquida), è stata ideata dal Policlinico San Matteo di Pavia nel lontano 1982. Una tecnica salvavita che sarebbe stata tenuta segreta per 38 anni, quindi. Il plasma, ricco di anticorpi, e la terapia che ne prende il nome è stato già utile durante altre emergenze sanitarie come Ebola e Sars e a Wuhan, la città cinese focolaio dell’epidemia di Covid 19, sono stati 1000 i pazienti trattati con il plasma delle persone guarite e idonee alla donazione. Ed è del 17 febbraio la notizia del primo paziente dimesso dall’ospedale di Wuhan trattato con il plasma dei guariti.
La sperimentazione avviata a Pavia – A fine marzo è iniziata la sperimentazione anche in Italia e i primi passi non potevano essere fatti che a Pavia, pionieri appunto della tecnica. Il protocollo iniziale è stato redatto dai medici del reparto di Immunoematologia e Medicina trasfusionale del San Matteo, in collaborazione con le strutture di Mantova e Lodi e dall’Azienda ospedaliera universitaria di Padova e quella di Novara. La sperimentazione porta la firma del primario del dipartimento Cesare Perotti, che con tutto lo staff coinvolto, sta studiando i dati per poter pubblicarne gli esiti il prima possibile.
La prima sperimentazione ha coinvolto 52 pazienti, la prossima probabilmente ne coinvolgerà 150. Una terapia quella del plasma iperimmune che si è rivelata, stando alle guarigioni e alle dimissioni di cui si ha già notizia, efficace. Anche se la ricerca pretende una elaborazione millimetrica dei dati prima di qualsiasi conclusione. I primi donatori sono arrivati a inizio aprile: i medici di Pieve Porto Morone, marito e moglie, primi casi di contagio da Covid19 in zona. Da allora alla terapia hanno avuto accesso 52 persone fino al 29 aprile.
Come funziona la plasmaterapia – La terapia, che tanto fa discutere, funziona così. Vengono prelevati 600 millilitri di plasma da pazienti Covid guariti. Non pazienti guariti e basta, ma persone che abbiano sviluppato gli anticorpi neutralizzanti il virus, che siano in buona salute generale e senza altre patologie. Il sangue va sottoposto a test, “lavorato” e trasformato prima di essere infuso. Come spiegato in una recente intervista dal professor Perotti il Centro nazionale sangue ha raccomandato esami aggiuntivi “che rendono il plasma, se possibile, ancora più testato e ipersicuro. In più il plasma del policlinico di Pavia viene sottoposto ad un ulteriore test dal laboratorio di Virologia molecolare del San Matteo, diretto dal professor Fausto Baldanti”.
Da quel prelievo si ricavano due dosi da 300 millilitri. Il protocollo, messo a punto al San Matteo, prevede tre somministrazioni. I medici monitorano il o la paziente e, nel caso di mancata risposta all’infusione, si passa alla seconda somministrazione e così di seguito. A distanza di due giorni l’una dall’altra. La compatibilità per il plasma viene fatta sul gruppo sanguigno come avviene normalmente secondo il protocollo per le donazioni di sangue.
Sono stati molti i guariti che si sono offerti di donare il plasma, ma come detto non tutti sono idonei. Dei circa 400 che si sono offerti solo 125 sono diventati donatori. E ognuno di loro può aiutare a guarire due malati, quelli a cui viene somministrata la terapia sono quelli più gravi ma prima che le loro condizioni comportino il ricovero in terapia intensiva. I miglioramenti si registrano nel giro di uno o due giorni. Gli anticorpi (immunoglobuline) sono proteine coinvolte nella risposta immunitaria che vengono prodotte dai linfociti B in risposta ad una infezione e ‘aiutano’ il paziente a combattere l’agente patogeno andandosi a legare ad esso e “neutralizzandolo”. Ed è questo che avviene anche con la plasmaterapia.
Per Perotti “il trattamento al plasma iperimmune è l’unico razionale, sia biochimico che immunologico del Coronavirus, che abbiamo in questo momento. Ha un notevole livello di sicurezza virale – spiega a La Provincia Pavese – ed è praticamente senza effetti collaterali”. L’idea di usare questa tecnica è stata presa in considerazione dai medici in assenza di farmaci mirati, tutti quelli utilizzati sono off label ovvero al di fuori delle condizioni autorizzate. Ed è così che ai malati, per combattere la malattia scatenata dal virus Sars Cov 2, sono stati somministrati antireumatoidi per esempio o antimalarici o farmaci utilizzati in oncologia.
Sperimentazione a Mantova e il caso della donna incinta – La sperimentazione si è conclusa il 29 aprile con il coinvolgimento di varie strutture dell’ospedale di Mantova: Immunoematologia e medicina trasfusionale, diretta da Massimo Franchini; Pneumologia, diretta da Giuseppe De Donno; Medicina di laboratorio, diretta da Beatrice Caruso; Malattie infettive, diretta da Salvatore Casari.È in corso l’analisi de dati raccolti dagli specialisti, mentre il servizio di Immunoematologia del ‘Carlo Poma’ di Manova sta “procedendo a pieno regime con la raccolta del plasma da pazienti guariti, con un ritmo di 6-7 prelievi al giorno”.
A Mantova questo approccio è stato sperimentato “su 25 pazienti”, ancche una giovane donna incinta che è guarita. Un lavoro “impegnativo, a partire dalla selezione dei donatori: da 100 potenziali candidati non ne ricaviamo più di 30 adatti – aveva spiegato Franchini all’Adnkronos – Questo perché dobbiamo avere pazienti guariti da almeno due settimane e con tamponi negativi, che non abbiamo co-morbidità e siano idonei a donare il plasma. Insomma, devono essere persone sane, che hanno contratto Covid-19 e sono guarite; inoltre devono avere un livello di anticorpi sufficiente per la donazione”.
“I risultati visti nei casi singoli sono stati sorprendenti. Ora con i colleghi di Pavia stiamo riesaminando tutti i casi, valutando la risposta clinica e strumentale, per trarre delle conclusioni generali su questa che è una terapia specifica contro Covid-19″. Franchini sottolinea che, al contrario “di alcune bufale” che circolano, “il plasma prodotto in questo modo è sicuro e la possibilità che trasmetta malattie infettive è pari a zero“. Il 50% dei donatori selezionati “in realtà è composto da donatori abituali di sangue, che si sono ammalati di Covid-19 e sono guariti. Si tratta di una terapia di emergenza, ma – precisa – noi non abbiamo realizzato un protocollo d’emergenza: si tratta di un lavoro rigoroso che segue le indicazioni del Centro nazionale sangue. Il risultato è una terapia specifica e mirata, all’insegna della massima sicurezza”. Al San Matteo ora pensano a una Banca del plasma e fanno scorta per una eventuale seconda ondata di contagi. Per questo i donatori sono i benvenuti. E un progetto è stato annunciato in questo senso oggi dal presidente del veneto, Luca Zaia nel corso del punto stampa. L’azienda sanitaria del Trentino sta esaminando i protocolli di Pavia e Mantova e le tecnologie utilizzate per la terapia al plasma iperimmune. Una macchina apposita, necessaria per la lavorazione del plasma, è in arrivo e non appena sarà a disposizione delle strutture sanitarie trentine comincerà a essere utilizzata.
Il ministero della Salute: “Terapia non consolidata, test in corso”- Intanto dal ministero della Salute arriva una nota: “L’uso del plasma da convalescenti come terapia per il Covid-19 è attualmente oggetto di studio in diversi paesi del mondo, Italia compresa. Questo tipo di trattamento non è da considerarsi al momento ancora consolidato perché non sono ancora disponibili evidenze scientifiche robuste sulla sua efficacia e sicurezza, che potranno essere fornite dai risultati dei protocolli sperimentali in corso. Il plasma da convalescenti è già stato utilizzato in passato per trattare diverse malattie – spiega la Faq sul sito, gestito dal Centro Nazionale Sangue – e, in tempi più recenti, è stato usato, con risultati incoraggianti, durante le pandemie di Sars ed Ebola”.