Potranno chiedere di essere risarciti a un giudice italiano i familiari delle vittime del naufragio della nave Al Salam Boccaccio, affondata per un incendio mentre navigava nel Mar Rosso con 1.400 passeggeri tra pellegrini ed emigranti egiziani, di ritorno dall’Arabia Saudita. È la decisione della Corte di giustizia europea a cui si erano rivolti gli avvocati, Stefano Bertone e Marco Bona, che assistono i parenti. Potranno chiedere conto al Rina (Registro italiano navale) e all’Ente registro navale italiano, che avevano classificato e certificato la nave battente bandiera panamense.

Nella sentenza Rina (C-641/18), come si legge in una nota, la Corte ha stabilito che un ricorso per risarcimento danni, proposto contro persone giuridiche di diritto privato che esercitano un’attività di classificazione e di certificazione di navi per conto e su delega di uno Stato terzo, rientra nella nozione di “materia civile e commerciale” e, di conseguenza, nell’ambito di applicazione di tale regolamento, qualora dett aattività non sia esercitata in forza di prerogative dei pubblici poteri ai sensi del diritto dell’Unione. In secondo luogo, essa ha affermato che il principio di diritto internazionale consuetudinario sull’immunità giurisdizionale non osta all’esercizio, da parte del giudice nazionale interpellato, “della competenza giurisdizionale prevista da detto regolamento in una controversia relativa a un siffatto ricorso, qualora detto giudice constati che tali organismi non si sono avvalsi delle prerogative dei pubblici poteri ai sensi del diritto internazionale”.

Nel 2006, le vittime furono oltre 1000 vittime. Alcuni familiari delle vittime e taluni
passeggeri sopravvissuti al naufragio si erano rivolti al Tribunale di Genova perché Rina
contro la Rina SpA e l’Ente Registro Italiano Navale e società che hanno effettuato le operazioni di classificazione e di certificazione della nave naufragata, la sede sociale delle quali si trova a Genova. I ricorrenti chiedevano il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dall’eventuale responsabilità civile delle società Rina, facendo valere che dette operazioni erano all’origine del naufragio.

Le società Rina aveva eccepito l’incompetenza territoriale del giudice invocando il principio
dell’immunità giurisdizionale, dato che le operazioni di classificazione e di certificazione che esse hanno svolto sono state effettuate per delega della Repubblica di Panama e, di conseguenza,
costituiscono una manifestazione delle prerogative sovrane dello Stato delegante. Il giudice aveva quindi sollevato una questione pregiudiziale. Per i giudici europei “è inconferente che talune attività siano state esercitate per delega di uno Stato: infatti, la sola circostanza che taluni poteri siano delegati con atto dei pubblici poteri non implica che essi siano esercitati iure imperii. Altrettanto vale nel caso in cui le operazioni in questione siano state compiute per conto e nell’interesse della Repubblica di Panama, dal momento che il fatto di agire per conto dello Stato non implica sempre l’esercizio dei pubblici poteri. Inoltre, il fatto che alcune attività abbiano una finalità pubblica non costituisce, di per sé, un elemento sufficiente per qualificare tali attività come svolte iure imperii. La Corte ha pertanto rilevato che, per determinare se le operazioni oggetto del procedimento principale siano state realizzate nell’esercizio dei pubblici poteri, il criterio pertinente – si legge nella nota – è il ricorso all’esercizio di poteri che esorbitano dalla sfera delle norme applicabili nei rapporti tra privati”.

“Su questo punto, la Corte ha rilevato che le attività di classificazione e di certificazione svolte dalle società Rina consistevano soltanto nel verificare che la nave esaminata soddisfacesse i requisiti fissati dalle disposizioni legislative applicabili e, in caso affermativo, nel rilasciare i certificati corrispondenti. Quanto all’interpretazione e alla scelta dei requisiti tecnici applicabili, esse erano riservate alle autorità della Repubblica di Panama. Certamente la verifica della nave da parte di una società di classificazione e di certificazione può, se del caso, condurre alla revoca del certificato per non conformità a tali requisiti. Tuttavia, una siffatta revoca – prosegue la nota della Corte – non discende dal potere decisionale di dette società, le quali agiscono in un contesto normativo previamente definito. Se, a seguito della revoca di un certificato, una nave non può più navigare, ciò è dovuto alla sanzione che è imposta dalla legge. Conseguentemente, la Corte ha concluso che, con riserva delle verifiche che spetta al giudice del rinvio effettuare, le operazioni di classificazione e di certificazione realizzate dalle società Rina non possono essere considerate compiute nell’esercizio di prerogative dei pubblici poteri ai sensi del diritto dell’Unione. In secondo luogo, la Corte ha esaminato l’eventuale incidenza, ai fini dell’applicabilità del regolamento Bruxelles I, dell’eccezione relativa al principio di diritto internazionale consuetudinario sull’immunità giurisdizionale. La Corte ha affermato di aver già statuito che, allo stato attuale della prassi internazionale, l’immunità giurisdizionale degli Stati non ha valore assoluto, ma è generalmente riconosciuta quando la controversia riguarda atti di sovranità compiuti iure imperii. Per contro, essa può essere esclusa se il ricorso giurisdizionale verte su atti che non rientrano nell’esercizio dei pubblici poteri. L’immunità giurisdizionale degli organismi di diritto privato, quali le società Rina, non è generalmente riconosciuta per quanto riguarda le operazioni di classificazione e di certificazione delle navi, qualora esse non siano state compiute iure imperii ai sensi del diritto internazionale. Pertanto, la Corte ha concluso che detto principio non osta all’applicazione del regolamento Bruxelles I in una controversia come quella oggetto del procedimento principale, qualora il giudice adito constati che gli organismi di classificazione e di certificazione in oggetto non si sono avvalsi delle prerogative dei pubblici poteri ai sensi del diritto internazionale”.

La nave – costruita nel 1970 a Castellammare di Stabia e poi venduta dalla Tirrenia – era stata costantemente “seguita” dal Rina, fin dalla sua nascita e anche dopo gli interventi di trasformazione nel 1991. Quando gli avvocati di superstiti e famigliari delle vittime avevano chiesto la consegna di tutti i documenti rilasciati agli armatori del traghetto, il Rina si era opposto. Era quindi partita una lunga battaglia legale.

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