Per il giudice "ha posto in essere la cessione in un momento in cui non soltanto aveva la piena consapevolezza delle condotte attuate negli anni precedenti, ma esse erano altresì già state evidenziate dagli organi ispettivi e rese di pubblico dominio dai mezzi di informazione"
Il Tribunale civile di Vicenza ha annullato le donazioni di parte di una lussuosa tenuta alla moglie, di un palazzo e di una villa di residenza anche ad un figlio da parte di Giovanni Zonin, presidente della Banca Popolare di Vicenza nell’imminenza del crack che ha travolto l’istituto di credito. Il giudice monocratico Giovanni Genovese ha così accolto le istanze formulate dalla Banca Popolare di Vicenza che si trova nello stato di liquidazione coatta amministrativa. Si tratta di provvedimenti che tutelano, per quanto poco – rispetto all’effettivo buco di bilancio causato durante la gestione di Zonin – il patrimonio della banca.
La prima sentenza ha dichiarato l’inefficacia delle donazioni, sottoscritte il 15 gennaio 2016 e il 13 maggio 2016 con cui Zonin aveva trasferito al figlio Michele e alla moglie Silvana Zuffellato alcuni immobili: un palazzo nel centro storico di Vicenza e una villa a Montebello Vicentino. Il nucleo economico finanziario della Guardia di finanza ha accertato che il valore dichiarato dei beni ceduti al figlio era di 320mila euro e di 680mila euro quello degli immobili donati alla moglie. La seconda sentenza ha dichiarato, invece, l’inefficacia della cessione di partecipazione al capitale sociale della Tenuta Rocca di Montemassi S.r.l. siglata il 22 dicembre 2015. In quel caso Zonin aveva ceduto alla moglie il 2 per cento, pari a un valore di 340mila euro. Si tratta di una tenuta di 430 ettari con una enorme dimora nobiliare che si trova in provincia di Grosseto, nel cuore della Maremma. Il valore totale della società è quindi di circa 15 milioni di euro.
Per inquadrare l’epoca della donazioni bisogna ricordare che Zonin fu presidente di PopVicenza fino al 23 novembre 2015. Ne giro di due mesi perfezionò le donazioni, quando la tempesta giudiziaria era al culmine. La banca nel ricorso sostiene che egli fu “responsabile di atti di cattiva gestione che causarono il tracollo dell’istituto”, con un danno di centinaia di milioni. La sola Consob gli ha irrogato una sanzione di 370mila euro e la Banca d’Italia di 234mila euro. Il bilancio 2016 della banca ha registrato nel 2016 una perdita di un miliardo 901 milioni di euro.
Il giudice scrive che “la responsabilità di Zonin per il tracollo è accertata da numerosi provvedimenti sanzionatori”, a prescindere dal processo penale che è in corso. Inoltre egli “ha posto in essere la cessione in un momento in cui non soltanto aveva la piena consapevolezza delle condotte attuate negli anni precedenti, ma esse erano altresì già state evidenziate dagli organi ispettivi e rese di pubblico dominio dai mezzi di informazione”. “Del tutto fuori luogo” è definita la giustificazione di aver ceduto i beni “per favorire il passaggio generazionale ed anticipare le disposizioni successorie” visto che la moglie all’epoca era settantenne. Mentre la cessione a favore del figlio “appare incontestabilmente effettuata nella consapevolezza di tutto quanto era successo nell’anno precedente”, ovvero la grande crisi della banca. Secondo il giudice, la moglie “era consapevole che la sottrazione di beni aggredibili del patrimonio del marito avrebbe determinato un pregiudizio per i creditori del medesimo, la cui incombenza era evidente a chiunque, a prescindere dall’eventuale convinzione soggettiva sull’effettiva sussistenza di responsabilità, e dunque sulla fondatezza del credito risarcitorio”.