La strada all’inedito governo di Bibi e Benny è spianata. La Knesset ha approvato giovedì mattina gli emendamenti a due leggi fondamentali che consentono al premier Benjamin Netanyahu (Likud) e al leader di Kahol Lavan, Benny Gantz, di adempiere al loro accordo di coalizione e di sancire la rotazione tra i due come primo ministro a metà mandato. Il voto del Parlamento israeliano è seguito alla sentenza dell’Alta Corte di giustizia che mercoledì sera ha respinto le petizioni contro l’accordo di coalizione, nonché le istanze per vietare a un parlamentare con accuse penali di formare un governo.

Se la Corte avesse deciso contro Netanyahu, Israele sarebbe precipitato nella sua quarta elezione consecutiva in poco più di un anno, mentre il Paese affronta l’epidemia di coronavirus. Netanyahu dovrà comunque affrontare tre processi – per corruzione, fondi illeciti e violazione della fiducia -, il primo dei quali, dopo diversi rinvii dovuti al diffondersi della pandemia, va in aula il prossimo 24 maggio.

Il presidente Reuven Rivlin dovrebbe ora incaricare il Bibi nazionale di formare una coalizione di governo dopo che la Knesset gli consegnerà almeno 61 firme a sostegno della sua candidatura a premier. Likud e Kahol Lavan (Blu-Bianco) hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui affermano che i rispettivi leader hanno concordato sulla rapida formazione di un governo che potrebbe giurare già il prossimo 13 maggio.

I deputati, alcuni con indosso mascherine, stamattina erano sparsi in tutta la Knesset, nella galleria degli ospiti e negli spazi riservanti a stampa e tv per garantire la distanza sociale. Il divario tra i sostenitori della legislazione e quelli che si sono opposti al plenum è stato significativo: all’inizio del voto sono stati registrati 72 favorevoli, contro 39 contrari, quindi la capacità dell’opposizione di sfidare Likud e Kahol Lavan è davvero bassa.

La maratona di giovedì mattina alla Knesset è stata possibile dopo la sentenza della Corte Suprema di Israele. I suoi 11 giudici, dopo due giorni di dibattito andato in onda anche in tv, hanno stabilito che le accuse contro Netanyahu non lo squalificano per la formazione di un governo. Con sentenza votata all’unanimità i supremi giudici “non hanno trovato alcuna base legale per impedire al membro della Knesset Netanyahu di formare un governo”. Ma la decisione, scrivono i giudici, “non deve essere interpretata come una diminuzione della gravità delle accuse affrontate, né la difficoltà posta dal mandato di un primo ministro accusato di crimini”. La Corte ha aggiunto che Netanyahu ha il diritto alla presunzione di innocenza. I giudici hanno riconosciuto che l’accordo degli ex rivali – che per un anno si sono scambiati accuse di ogni genere – era “insolito” nella storia del Paese, ma hanno affermato di aver deciso che “non vi sono motivi di interferenza in nessuna delle sue clausole”.

Benjamin Netanyahu, 70 anni, sulla breccia da quasi trent’anni nega qualsiasi illecito in tutti e tre i casi in cui è imputato. Per allontanare i processi ha evocato un colpo di mano contro di lui del presidente Rivlin, del capo della Polizia e di certi magistrati. Il Paese è effettivamente spaccato, continuano le proteste in piazza – sempre col distanziamento sociale – contro il suo incarico di governo, ma ormai sembra fatta. L’uomo che la metà di Israele ama e l’altra metà ama odiare sarà primo ministro per la quinta volta. Il premier più longevo della storia dello Stato ebraico.

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