Il caso del direttore della scuola Rai di Perugia che, da "cristiano ortodosso", attacca il pontefice. Bergoglio, da parte sua, ha sempre ricordato che "lo Spirito porta pace dov'è discordia". E monsignor Spreafico (Cei) ricorda: "Chi usa parole sprezzanti e cattiverie deve confessarsi"
“È molto brutto vedere uscire dalla bocca di un cristiano un insulto o una aggressione. È brutto. Capito? Niente insulto! Insultare non è cristiano”. Parole che Papa Francesco pronunciò durante l’Angelus del 7 settembre 2014. Eppure lui stesso è continuamente bersaglio di insulti. Anche da chi si dichiara cattolico, perfino più dello stesso Pontefice. Come Antonio Socci che sul suo profilo Twitter ha recentemente scritto: “Bergoglio corre in soccorso a Conte e si conferma il solito traditore asservito al potere”. Il riferimento è al contenzioso tra la Cei e il governo italiano sulla partecipazione dei fedeli alle messe durante la fase 2 del coronavirus.
Questione risolta proprio con l’intervento diretto del Papa. Socci, che dirige la scuola di giornalismo di Perugia che forma i futuri cronisti della Rai, non è nuovo a pesanti attacchi nei confronti di Bergoglio. È anche autore di un libro intitolato Non è Francesco nel quale, in modo totalmente erroneo, sostiene perfino che l’elezione di Bergoglio è “nulla e invalida”. Affermazione fermamente smentita dal cardinale Lorenzo Baldisseri che fu segretario del conclave che nel 2013 elesse l’arcivescovo di Buenos Aires: “Escludo nel modo più assoluto che sia stata violata alcuna norma. L’elezione di Papa Francesco è avvenuta regolarmente e Bergoglio è stato eletto validamente”.
A scorgere il profilo Twitter di Socci sono tanti e ripetuti gli insulti diretti al successore di Pietro. Ma al di là di quella che sembra davvero un’avversione personale del giornalista nei confronti del Pontefice, rivendicando, tra l’altro, una maggiore affinità con Benedetto XVI, ciò che desta scalpore è l’insulto continuo rivolto al capo della Chiesa. Da chi tra l’altro sostiene di difendere l’ortodossia cattolica che, invece, Francesco disattenderebbe, stando alle accuse di Socci.
Diversi sono stati gli attacchi che Bergoglio ha ricevuto nel corso del suo pontificato. Nel 2017 per tutta Roma furono affissi dei manifesti anonimi con la foto del Papa e una scritta in romanesco che lo attaccava per alcuni suoi provvedimenti di governo: “A France’, hai commissariato Congregazioni, rimosso sacerdoti, decapitato l’Ordine di Malta e i Francescani dell’Immacolata, ignorato Cardinali… ma n’do sta la tua misericordia?”.
Parole che non hanno mai turbato il Papa nella sua azione. Sempre Francesco, il 9 giugno 2019, aveva affermato che “va di moda aggettivare, purtroppo anche insultare. Possiamo dire che noi viviamo una cultura dell’aggettivo che dimentica il sostantivo delle cose; e anche in una cultura dell’insulto, che è la prima risposta ad un’opinione che io non condivido. Poi ci rendiamo conto che fa male, a chi è insultato ma anche a chi insulta. Rendendo male per male, passando da vittime a carnefici, non si vive bene. Chi vive secondo lo Spirito, invece, porta pace dov’è discordia, concordia dov’è conflitto. Gli uomini spirituali rendono bene per male, rispondono all’arroganza con mitezza, alla cattiveria con bontà, al frastuono col silenzio, alle chiacchiere con la preghiera, al disfattismo col sorriso”.
Per il vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino e presidente della Commissione episcopale della Cei per l’ecumenismo e il dialogo, monsignor Ambrogio Spreafico, “chi mette ‘mi piace’ a un insulto si deve confessare”. Per il presule, infatti, “non è detto che tutto ciò che è condiviso e apprezzato sia sempre il bene. Basta vedere quanto facilmente si condividono sui social giudizi e parole sprezzanti, insulti, cattiverie. Quel ‘mi piace’ a un insulto o a una cattiveria per noi cristiani è un peccato che va riconosciuto e confessato”. Secondo Spreafico “soprattutto online è facile condividere con facilità frasi, giudizi, prese di posizione, senza riflettere. Quel clic con il nostro ditino con cui scriviamo il nostro like non sempre esprime umanità, cioè ciò che dovremmo essere tutti, al di là delle legittime differenze di opinioni e di giudizi, che fanno la ricchezza di una società in dialogo continuo”. Per il vescovo, infatti, “questo semplice clic significa condividere il male, perché un insulto detto a voce o scritto è comunque male, fa male e chi lo condivide è complice del male e di un atto di mancanza di umanità, anzi moltiplica il male e lo rende ancora più pesante”.