Mafie

Coronavirus, anche un uomo della Trattativa Stato-mafia vuole uscire: Nino Cinà chiede i domiciliari. Fu il medico di Totò Riina

L'ex medico del capo dei capi sta scontando un ergastolo, ed è stato condannato in primo grado a 12 anni al processo Trattativa Stato-mafia. Attualmente è sotto processo in appello. A dare notizia della richiesta di scarcerazione è uno dei suoi legali, l’avvocato Giovanni Di Bendetto, che spiega come l'istanza sia stata motivata da "gravi motivi di salute"

C’è anche un uomo della Trattativa Stato-mafia tra i detenuti che vogliono uscire dal carcere a causa dell’emergenza coronavirus. Si tratta di Antonino Cinà, uomo di medicina e di Cosa nostra, per un periodo anche medico personale di Totò Riina. Il suo nome è contenuto nell’elenco dei 456 detenuti che chiedono la scarcerazione per evitare di essere contagiati dal coronavirus in carcere. Sono tutti reclusi al carcere duro, in regime di 41bis, o nei reparti di Alta sicurezza.

L’ex medico di Riina sta scontando un ergastolo, ed è stato condannato in primo grado a 12 anni al processo Trattativa Stato-mafia per violenza o minaccia a un corpo politico dello Stato. Attualmente è sotto processo in appello. A dare notizia della richiesta di scarcerazione è uno dei suoi legali, l’avvocato Giovanni Di Bendetto, che difende Cinà insieme a Federica Folli. “Non sappiamo ancora quando i giudici tratteranno il caso del nostro cliente. Siamo in attesa di conoscere la data dell’udienza davanti al Tribunale di sorveglianza”, dice Di Benedetto spiegando di aver chiesto la scarcerazione per “gravi motivi di salute“.

Cinà oggi ha 75 anni. Era considerato un uomo fedele non solo al capo dei capi, ma soprattutto a Bernardo Provenzano. Dopo l’arresto di quest’ultimo, faceva parte della triade che dai mandamenti di Pagliarelli, dell’Uditore e di San Lorenzo guidava Cosa nostra. Con lui al vertice c’erano Nino Rotolo e Francesco Bonura, altro colonnello di Provenzano, tra i primi a ottenere i domiciliari per motivi di salute durante l’emergenza coronavirus. Cinà e Bonura condividono lo stesso legale, cioè l’avvocato Di Benedetto.

Che ha difeso Cinà anche al processo Trattativa, dove il medico era accusato di aver fatto da tramite del cosidetto “papello“, cioè le richieste di Cosa nostra allo Stato per far cessare le stragi. Quello del papello è uno degli episodi più controversi di tutto il dibattimento: secondo Massimo Ciancimino, Cinà avrebbe ricevuto il foglietto con le istanze da Riina e lo avrebbe fatto pervenire a Provenzano, che poi lo avrebbe girato ai carabinieri del Ros tramite Vito Cianicimino. La testimonianza di Ciancimino junior non è stata ritenuta credibile dai giudici della corte d’Assise di Palermo, ma Cinà è stato comunque condannato.

Dei 456 boss che vorrebbero lasciare il carcere – secondo la lista inviata al guardasigilli Alfonso Bonafede dal nuovo vicecapo del Dap Roberto Tartaglia – 225 sono detenuti definitivi e 231 sono detenuti in attesa di primo giudizio, imputati, appellanti e ricorrenti. Il Dap ha subito dato inizio “all’acquisizione dagli istituti penitenziari delle istanze presentate e alla conseguente attività di analisi finalizzata alla predisposizione di idonee misure organizzative”.