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Coronavirus, anche una birra può uccidere. E le scene sui Navigli lo provano

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Diciamoci la verità: ci mettiamo la mascherina per non essere contagiati, non perché temiamo di contagiare. Quando incontriamo qualcuno per strada siamo noi che abbiamo paura di essere infettati, non il contrario. Noi siamo quelli sani, gli altri sono la minaccia. E’ l’egoismo dell’istinto di sopravvivenza.

Ecco centinaia di persone che camminano per i Navigli di Milano. Spesso senza mascherina. Cosa fanno di grave? Parlano, si baciano, bevono una birra o uno spritz. E’ la vita più forte della malattia.

Ma proprio la vita insegna anche altro: non si uccide soltanto con una pistola. A volte un gesto minimo, senza intenzione, ha conseguenze enormi: guidi la tua auto telefonando e senza pensarci, senza volerlo, tranci la vita di una persona. Urti una persona su un sentiero di montagna e le esistenze di entrambi sono devastate per sempre. Cammini distratto sul marciapiedi di una stazione e spingi un uomo sui binari.

Le nostre azioni spesso non corrispondono agli effetti che provocano. E’ così la vita, non è sempre giusta. Si chiama responsabilità. Essere uomini significa questo. Noi siamo chiamati a rispondere degli effetti dei nostri gesti, per quanto abnormi siano rispetto alle intenzioni.

Così capita che bevendo una birra sui Navigli in una splendida sera di primavera infettiamo una persona, che tornata a casa contagia suo padre, poi sua nonna. Qualcuno muore. E non importa che poi se ne debba rispondere a un giudice. E’ successo, la responsabilità è nostra.

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