Il lockdown ha impattato in maniera pesante sul comparto dell'economia condivisa: dai viaggi agli affitti, passando per i servizi di mobilità. Negli Stati Uniti il colosso californiano ha licenziato il 14% della sua forza lavoro, 3,700 persone, per il drastico calo delle corse passeggeri. E non esclude ulteriori tagli. La divisione Eats, per la consegna di pasti a domicilio, va invece a gonfie vele
La paura dell’altro e il distanziamento sociale. Due killer insidiosi almeno quanto il Covid 19 per la sharing economy. Ovvero la condivisione di beni e servizi, a cui la pandemia ha assestato un colpo durissimo, che solo il tempo dirà se definitivo. E anche quando si riprenderanno, le industrie del divertimento, dei viaggi e degli affitti, ma anche dei servizi di mobilità, non saranno più le stesse.
C’è chi già si lecca le ferite. Come la Disney, a cui blocco delle attività e parchi tematici deserti sono già costati quasi un miliardi e mezzo di dollari, o Airbnb, che prevede guadagni dimezzati alla fine dell’anno, anche perché ha già speso 250 milioni di dollari in rimborsi ai proprietari di appartamenti per i mancati introiti, avendo di deciso di concellare le prenotazioni senza penali per i clienti. E ha già licenziato 1.900 dipendenti, ovvero un quarto della sua forza lavoro.
L’auto non fa eccezione. Car sharing, car hailing e ride hailing, termini, esperienze e business che abbiamo imparato a conoscere perché importati dall’estero, vivono un momento di grande difficoltà a causa della domanda ai minimi storici. Il servizio di vetture con autista, ad esempio, languiva già prima del lockdown, per il timore di utilizzare veicoli condivisi, considerati mezzi di potenziale diffusione del virus. E i colossi del settore sono corsi ai ripari, soprattutto negli Stati Uniti: Lyft ha tagliato il 17% dei suoi dipendenti (982 persone) e i rivali storici di Uber ci sono andati giù ancora più pesantemente con 3.700 licenziamenti, pari al 14% del totale di occupati.
Tuttavia potrebbe non nessere finita qui, perché l’azienda guidata dall’ad Dara Khosrowshahi ha presentato una trimestrale da incubo con perdite per 2,9 miliardi di dollari, in drastico aumento rispetto agli 1,09 miliardi dei primi tre mesi 2019. Una situazione che impatta anche sul titolo a Wall Street, costantemente sotto pressione.
La strada per uscire dall’impasse, nondimeno, l’azienda californiana ce l’ha in casa e si chiama Eats. Ovvero la divisione che si occupa di consegnare pasti a domicilio, le cui prenotazioni hanno avuto un’impennata clamorosa grazie ai clienti costretti a casa per l’emergenza: +52% rispetto allo scorso anno e +7% rispetto al primo trimestre 2019, per un valore di quasi 4,7 miliardi di dollari. “Anche se le nostre attività sulle corse sono state colpite duramente, abbiamo preso azioni rapide per preservare la forza del nostro bilancio, concentrare ulteriori risorse su Uber Eats e prepararci per ogni possibile scenario”, ha dichiarato lo stesso Khosrowshahi. Che prevede una ripresa delle corse, per così dire, d’ordinanza in manera graduale e differenziata da paese a paese. Ma la soluzione tampone, ovvero passare dal trasporto delle persone alla consegna di cibo e merci, potrebbe durare più del previsto e rivelarsi vincente, anche per gli altri.