Nel pallone la prima vittima del Coronavirus è la Serie C: il campionato è finito, ieri la Lega ha decretato lo stop. Ma non è solo sul campo che si vedono le conseguenze della pandemia. Nell’emergenza sono sempre i più deboli a soffrire. I club annaspano, il malumore aumenta e nel caos partono anche le manovre: qualcuno ha messo nel mirino la poltrona del presidente Francesco Ghirelli (che vale tanto in vista delle elezioni della FederCalcio, visto che sposta da sola il 17% dei voti totali), qualcun altro vorrebbe far sparire proprio la Lega.
Il presidente Ghirelli è stato il primo a “varcare il Rubicone” dello stop, una decisione che può rivendicare, infatti l’assemblea di ieri è stata relativamente tranquilla. La gestione della Lega resta però complicata: ci sono gli inevitabili scontenti (in particolare Luigi De Laurentiis: con la promozione delle prime dei gironi, Monza, Vicenza e Reggina, più il Carpi per la miglior media punti, il suo Bari sarebbe costretto a un altro anno di purgatorio), ancora peggio era stata l’idea della promozione a sorteggio, un autogol. Ma i veri problemi non sono tanto sportivi, quanto economici. Gli stipendi da pagare ai calciatori, i conti che di solito traballano e adesso saltano, insieme a tante società (tanto che la Figc valuta come rivelato dal Fatto di eliminare l’obbligo di fideiussione per l’iscrizione, una deregolamentazione che però rischia di spalancare le porta agli “avventurieri” del pallone).
È in questo scenario di incertezza che sono ripartite le trame sulla Serie C, che viveva in uno stato di quiete da quasi 5 anni, dalla fine dell’era Macalli e l’elezione di Gabriele Gravina (proprio da lì è partita l’ascesa dell’attuale n.1 Figc, che ha passato il testimone a Ghirelli). Qualcuno ha agitato persino lo spettro di una mozione di sfiducia, per ora non se ne parla. Di certo sono in atto una serie di manovre: non è un caso che proprio in questi giorni sia trapelata su Sportitalia l’ipotesi di una fantomatica riforma dei campionati, con una B a 40 squadre in due gironi e di fatto l’eliminazione della Serie C, visto che la terza serie sarebbe già dilettantistica. L’obiettivo è destabilizzare una Lega già agitata. In prima fila c’è Salvatore Caiata, presidente e onorevole (eletto col M5s, è passato con Fratelli d’Italia), proprietario del Potenza, sempre più attivo nei palazzi della politica e del pallone: si muove insieme a Pietro Lo Monaco, ex ad del Catania che curiosamente è anche uno dei club finanziariamente più in difficoltà. Cercano di far breccia nei club del Sud, ma mancano di credibilità fra quelli del Nord, riuniti intorno al presidente della Feralpi Salò, Giuseppe Pasini.
L’attesa dei provvedimenti di governo e Figc che però ancora non si vedono, la paura di una crisi imprevedibile (senza Ghirelli, toccherebbe alla vicepresidente, l’attrice Cristiana Capotondi, convocare le elezioni in piena emergenza) tengono la Lega in precario equilibrio. Se dovesse arrivare la cassa integrazione per i calciatori sotto i 50mila euro di stipendio e sostegno dalla FederCalcio, per le società sarebbe ossigeno puro (e pure per Ghirelli, che sulla Cig si è speso molto). Il presidente rivendica il suo operato: “Noi stiamo portando avanti la sfida di una vera auto-riforma del sistema. Le manovre della vecchia politica le lascio ad altri”. Ma senza buone notizie, con i club sempre più affamati, può succedere di tutto. E se la Serie C dovesse diventare contendibile, si muoveranno anche i potenti del pallone: dal mondo dei Dilettanti di Cosimo Sibilia potrebbe farsi avanti Luigi Barbiero, attuale coordinatore Lnd, che conosce già diverse società che hanno fatto il salto di categoria. Ma la Serie C è anche il regno di provenienza di Gabriele Gravina, che punta a un secondo mandato in Figc (per cui sono fondamentali i voti della sua vecchia Lega) e sullo sfondo c’è la variabile Claudio Lotito, sempre vigile quando c’è una poltrona da assegnare. L’ultima volta che è successo in Serie C, è cambiato il calcio italiano.