“Ascoltami: tutti hanno un’anima e ogni anima ha una vibrazione”. Sembra essere uscito da qualche discussione tra Einstein, Dio e Galileo Galilei questo bizantino intarsio letterario scritto dal giornalista turco Ozgur Mumcu dal titolo La macchina della pace (Bompiani). Ed è proprio questa “macchina della pace”, un marchingegno che sfrutterebbe le onde elettromagnetiche di rocce ed umani per raggiungere uno stato di pace uguale per tutti, a diventare un apparentemente bizzarro macguffin che porta ai primi del novecento quando il protagonista Celal attraversa l’Europa. Prima in Turchia dove da ragazzino salva la vita ad un uomo ricco e sapiente che lo adotta come figlio; poi in Francia, dove finisce senza più un soldo e sospettato di omicidio dopo una carriera da scrittore di romanzi erotici; fino in Serbia, dove sotto mentite spoglie organizzerà l’insurrezione militare del 1903 avvalendosi nientemeno che dei numeri di un enorme circo. L’idea di Mumcu è quella di offrire un racconto storico che slitti continuamente tra i meandri più bruschi e impolverati di una favola e la colta altezzosità del racconto filosofico alla Candide. Il destino sociale ed economico del protagonista muta in continuazione, la selva di personaggi che gli ronzano attorno si arricchisce senza sosta, le divagazioni e la continua mise en abyme della struttura generale del testo fa de La macchina della pace qualcosa di cervelloticamente indispensabile e formalmente sfruculiante. Violento quanto basta nelle prime pagine d’iniziazione alla vita, vagamente dandy quando si costruisce il lungo ponte di sospensione francese, filosoficamente steampunk quando nelle ultime pagine sembra quasi di leggere stralci new weird alla Jeff VanderMeer. Le analogie con l’attuale inizio secolo turco – Mumcu ha un recente e tragico passato di oppositore al regime di Erdogan – ci sono, ma vanno decifrate con cura. Tanto di cappello alla traduttrice Giulia Ansaldo che negli scioglilingua del protagonista (peccato che gradualmente sfumino nel nulla) eccelle superba: “Tremo, tremo/Faccio cadere la mela dal ramo/Hanno mangiato la mela/Mi danno del nano/Non sono più un nano”. Voto: 6/7