Dove c’è Michelle (Obama) c’è casa. “Our house, people house”. Difficile che Melania, Hillary, Nancy, e nemmeno Eleanor o Jackie, possano aver detto lo stesso, senza dare un colpetto imbarazzato di tosse. Michelle, e Barack, in otto anni di Casa Bianca, non avranno rivoluzionato il mondo, ma la distanza umana, sociale, politica tra quella soglia presidenziale e il resto del mondo l’hanno smaterializzata. Una, o meglio due, anzi quattro con le figlie, sei coi cani, di noi. E Becoming, il documentario diretto da Nadia Hallgreen, in esclusiva su Netflix, racconta proprio questo.
E lo fa seguendo Michelle, ex first lady, la prima e si spera non ultima, afroamericana, che proprio in questi giorni Joe Biden cerca a tutti i costi di far rientrare nel ticket democratico per le prossime presidenziali. 34 tappe in giro per gli Stati Uniti, Michelle presenta il suo libro omonimo (in Italia edito da Garzanti) e la Hallgreen ci costruisce attorno un ritratto delicato, pulito, quasi sussurrante. Certo, agiografico spinto, quando si tratta del controcampo falsato del pubblico in sala che adora Michelle con il naso all’insù verso il palco (dato vero e non temporalmente consequenziale), ma è l’intensa linea di colore, il tratto deciso e preciso con cui la macchina da presa dipinge questa esistenza simbolica a zonzo per gli States, a sfruttare quell’onda lunga degli otto anni di presidenza chez Obama, che Becoming si fa documento storico politico di un’era che ad oggi, tra parrucchini biondi, virus letali e primarie democratiche finite sul solito binario della tradizione del buon senatore moderato della costa est, sembra pleistocene.
“Presto, sgomberate, arrivano i Trump”. Michelle davanti ad Oprah Winfrey butta la storia del primo giorno da ex, come solo con il suo humor sa fare, sul ridere. Poi tra una tappa e l’altra, tra un anchorman e l’altro, tra un Conan O’Brien e un Stephen Colbert, eccola ripercorrere le stagioni della sua vita. Il South Side di Chicago degli anni ottanta, la working class, la buona musica, quelle famiglie di “neri fuori posto” che fanno “scappare” i bianchi dai loro appartamenti. L’Università di Princeton da afroamericani non proprio abbienti, la professione di avvocato, il giorno in cui deve accogliere lo stagista Barack e la passerella nello studio legale tra segretarie fischiettanti wow come se passasse Brad Pitt.
“Non basta aspettare un presidente o le elezioni, avete gli strumenti dentro di voi per sentirvi visibili in questa società”, spiega Michelle a tutte le ragazze, giovani e meno giovani, che affollano le sue “conversazione” nelle arene da decine di migliaia di spettatori o negli incontri informali dietro le quinte in centri della cultura afroamericana, in qualche scuola, in una chiesa, sui luoghi di lavoro. La doppia tessitura etica tra pubblico e privato di Michelle funziona alla grande nel documentario della Hallgreen. Questa idea dell’annullamento delle distanze sociali ed economiche torna sempre, ad ogni angolo del discorso, ad ogni curva della memoria. Poi ad impreziosire il tutto, ecco le sequenze cool dell’Obama family. Barack che sbuca sul palco, non si sa bene in quale tappa del tour, con un mazzo di fiori. “È come quando Jay-Z compare ai concerti di Beyoncé”, ridacchia l’ex presidente sedendosi sul bracciolo della poltrona dove troneggia Michelle.
Ecco Malia già donna, cocca di mamma, con una borsetta a tracolla più grande di lei. Mamma Marian, fratello Craig. Casa Robinson con Michelle bambina sulla poltrona del padre. La terapia di coppia degli Obama (“come ho risolto il problema di dover stare a casa mentre Barack faceva carriera? Sono andata in palestra anch’io”); la campagna elettorale del 2008 con il veleno e le accuse a schizzare in ogni dove sul tailleur di Michelle; l’hype indiscusso, naturale, magnetico di questa donna ironica, capace, brillante, a suo modo sfrontata. “Se sei presidente degli Stati Uniti hai troppo potere per parlare con leggerezza”. Parole sante. “Sarai sempre la nostra first lady” le urlano fan e passanti. Becoming? Commovente, potente, e un filo malinconico. Con un possibile sequel: Come back. Magari.