Madeleine: una data, un ricordo, un personaggio - La rubrica del venerdì de ilfattoquotidiano.it: tra cronaca e racconto, i fatti più o meno indimenticabili delle domeniche sportive degli italiani. In questa puntata il ricordo del primo portiere straniero arrivato in Serie A.... e il suo tuffo (inutile) nella finale dei Mondiali '94 sul rigore di Baggio
“Como a vecchi tempi no?”. Dove la “t” sembra quasi una “c” e rimanda inevitabilmente a odore di caffè, divise verde-oro e samba. Parole dette col sorriso a commentare qualche gol preso in maniera non proprio impeccabile in un’amichevole, una festa di addio al calcio, forse di Careca. Parole di Claudio Andrè Taffarél, portiere brasiliano, il primo in Italia. Il primo portiere straniero, sì: impossibile considerare tale Zvonko Monsìder, fuggito dalla Jugoslavia nel dopoguerra e con all’attivo 7 presenze a Padova.
Primo portiere straniero tra le perplessità dei tifosi e non solo. Perché? Innanzitutto perché i numeri uno brasiliani, tra Valdir Peres e Carlos non avevano fatto una grande impressione, tutt’altro. Secondo: la scuola italiana dei portieri allora era considerata di gran lunga la migliore al mondo sia ai massimi livelli, all’epoca Zenga, Galli, Tacconi e l’emergente Pagliuca, sia tra i “normali”. Terzo: è il 1990, c’è la possibilità di tesserare al massimo tre stranieri, inutile, anche perché nel 1990 l’entrata principale a bilancio sono gli abbonamenti, sprecare uno slot per un portiere straniero, con l’incognita dell’affidabilità e la sicurezza che non farà vendere gli abbonamenti di un’ala o un centravanti sudamericano.
Questo il patron del Parma neopromosso in A, Calisto Tanzi, lo sa benissimo. Sa bene che è un’operazione di marketing, visti i suoi interessi in Brasile e non un colpaccio per l’allenatore Scala, ma va bene così. Intendiamoci: Taffarel non è per niente scarso. E dell’icona del portiere brasiliano ha poco: europeo nell’aspetto e soprattutto nello stile. Niente capriole, scorpioni o fronzoli vari. Freddo, lucido: non insuperabile ma affidabile.
E poi è un buono, di quelli veri: di quelli che non negano una foto a un tifoso mai, di quelli che scrivono libri per aiutare i bambini poveri brasiliani, che giocano in parrocchia per beneficenza. Atleta di Cristo, con una fede ferrea. Per due anni a Parma non fa male: in campionato gioca tutte e 68 le partite subendo 58 gol, una buona media, vince la Coppa Italia, infilando però qualche incertezza qua e là. Così pure in nazionale: ottime parate, qualche papera clamorosa. Perciò “Como a vecchi tempi”.
Poi però quello slot da straniero che nelle prime due stagioni a Parma era stato sacrificato viene reclamato per Tino Asprilla, attaccante colombiano, a differenza di Taffarel sudamericano per davvero dentro e anche fuori dal campo. In porta va Ballotta, Claudio gioca poco finché passa alla Reggiana, e anche qui non fa male: con una parata strepitosa contro il Milan salva i granata dalla retrocessione. Ma non basta, anche stavolta viene sacrificato per il posto da straniero che tocca a Oliseh. E sul “paese che non ama i portieri” come lo definirà, quella stessa estate si prenderà una clamorosa rivincita: nessuno, che quella notte aveva dai 6 anni in su, dimenticherà il suo volo sulla destra mentre il pallone sorvola la traversa, alla sua sinistra. Ma pure in quel caso non si lascerà andare, anzi: “Che sofferenza le lacrime di Baggio e Baresi”, dirà in seguito.
Senza squadra tornerà in patria, all’Atletico Mineiro, giocherà il mondiale del 1998 perdendo la finale, stavolta contro Zidane e compagni, e poi si trasferirà al Galatasaray in Turchia. Ma l’Italia a Taffarel è sempre piaciuta, con le città a suo dire simili a quelle del Brasile. “Non fatevi ingannare da Jorge Amado – disse, e fa effetto rileggerla oggi quella frase o ripensarla in bocca a un calciatore moderno – che parla di Rio e Bahia, non sono davvero così”. E ci ritorna volentieri: a Parma, a fare da secondo a Frey. E prolungherebbe l’esperienza ad Empoli, nel 2003, ma nel viaggio per andare a firmare gli si rompe l’auto… e Claudio André, se nel 1990 qualche dubbio sul tizio che gli dribblò mezza squadra servendola a Caniggia lo ebbe, stavolta proprio non ne ha: è stato Dio.
Probabilmente non lo stesso che comunicò al suo collega Taribo West, qualche anno prima, di dover entrare in campo, o in quel caso Lippi non lo ascoltò, Claudio Andrè sì, e smette di giocare. Da 15 anni allena i portieri del Galatasaray, con una parentesi nella Selecao, e oggi compie 56 anni: difficile dimenticarlo a Pasadena, piacevole ricordarlo col sorriso buono, con la divisa un po’ tamarra a stelle della Reggiana e quella azzurra del Parma, tra grandi parate e qualche papera… “Como ai vecchi tempi”.