Sei le nuove puntate che spaziano da Rosarno in Calabria a Nerola vicino Roma, fino al serpentone del Corviale alla periferia a sud-ovest della capitale. “Volevo fare una serie che avesse come plot narrativo l’idea di raccontare una Nuova Costituzione degli esseri viventi. E le due puntate su Rosarno ne sono l’emblema", ha raccontato il giornalista a FQMagazine
Il cielo sopra l’Italia. Quando Domenico Iannacone torna in tv con una nuova serie di puntate di Che ci faccio qui, bisogna scomodare sempre qualche dio dell’Olimpo. Stavolta, per la terza serie, che andrà in onda da domenica 10 maggio alle 2030 su Rai3, tocca a Wim Wenders e al suo film del 1987. Anche perché è lo stesso Iannacone ad evocarlo spiegando a FQMagazine il contenuto delle nuove puntate: “Abbiamo finito di girare qualche giorno prima rispetto alla chiusura dovuta all’epidemia. Ed è come se fosse stato lo sguardo di un angelo alla Wenders che vola indietro e che volando vede le macerie attorno a sé. Non ci sono mascherine, non c’è nulla, c’è tutto quello che è avvenuto prima, ma quello che è avvenuto subito prima”.
Sei le nuove puntate che spaziano da Rosarno in Calabria a Nerola vicino Roma, fino al serpentone del Corviale alla periferia a sud-ovest della capitale. “Volevo fare una serie che avesse come plot narrativo l’idea di raccontare una Nuova Costituzione degli esseri viventi. In questa dimensione avevo fatto viaggi legati alla condizione dell’uomo e le due puntate su Rosarno ne sono l’emblema. Parlo di una condizione di completa assenza dei diritti fondamentali in generale. Ho seguito un personaggio che conoscevo da tempo, ma la povertà lì si è allargata e non è legata solo ai migranti, ma è un destino comune di grande difficoltà prima ancora che arrivasse il virus”.
Per chi conosce Iannacone e Che ci faccio io qui sa di che storie stiamo parlando, ma per chi ancora non aveva rintracciato sul radar il suo fare poetico e risoluto, antropologico e gentile del fare tv, ecco alcune nuove storie davvero oltre ogni confine. “Ho pensato che la dimensione degli esseri viventi dovesse abbracciare anche gli animali – continua il giornalista molisano – così ecco la storia di un personaggio che vive vicino Nerola (Roma), un signore che ha creato un santuario degli animali. È un ex allevatore che ha avuto una crisi profondissima e un giorno si è andato a ricomprare un carico di agnelli che aveva appena venduto perché non sopportava più il fatto di vederli macellati. Da allora vive con 200 animali salvati dalla macellazione. Abbiamo creato una classifica degli esseri viventi, abbiamo creato lo specismo. Stiamo andando direzione sbagliatissima. Dobbiamo raddrizzarci”.
E ancora per chi fosse a digiuno del tocco tra l’herzoghiano e l’olmiano di Iannacone ecco le ultime due puntate: una su un organizzatore di incontri di calcio sui generis e un altro su una fabbrica che produce prodotti contro il consumismo imperante. “Ho girato due puntate sul Corviale, il serpentone lungo un chilometro con 5mila abitanti, un paese stipato in un unico edificio. Lì ho trovato la raccontato la storia di un personaggio che ha messo su un concetto nuovo di socialità e di sport: il calcio sociale: Massimo è un ex calciatore semiprofessionistico, ed ex tifoso, poi schifato del calcio, che s’è preso un campetto, ci ha piantato un’erba particolare e ha ribaltato regole del gioco: squadre miste, gente del posto, uomini, donne, persone con disabilità, giocatori scarsissimi e bravissimi, ma soprattutto il più bravo non può segnare più di tre gol a partita e non c’è l’arbitro”.
Infine il messaggio contro l’obsolescenza programmata del settore di un’azienda dove si raccolgono elettrodomestici gettati via e vengono rigenerati: “un esempio di economia circolare effettuato da persone finita fuore dal mondo del lavoro, rigenerazione a tutto tondo, insomma”. Un passato da giornalista Rai più generalista, Iannacone ha oramai raggiunto quel suo angolo creativo originale legato ad un’ispirazione legata proprio alla conoscenza dei grandi poeti del Novecento che ha frequentato di persona: “Nel passato ho dovuto fare altri lavori, altre trasmissioni, mi sono però detto: tornerò nei posti che ho dovuto attraversare solo superficialmente e riprenderò il filo di quel racconto. Mi sono andato a riprendere queste storie rimaste che mi erano rimaste impigliate come fossi un archeologo”. E il mondo futuro post Covid, Domenico, come sarà? “Per un periodo non sarà certo migliore. Ci si appresta a vivere un periodo durissimo, in cui ci saranno scontri, in cui la povertà creerà impellenze e chi ha poco magari sarà più egoista. Dall’altro lato però ci sarà un’esigenza insopprimibile, quella di una nuova costruzione di modello di società. Da una parte questa tendenza, dall’altro una forza che si anteporrà dal basso, da fuori. Non sarà la politica a dettare questa roba qui. Semmai la rigenererà perché nel frattempo saranno cambiati gli uomini”.