I vicini che guardavano con sguardo commiserevole e un po’ colpevolizzante quella strana famiglia col “matto in casa” ora ne sentono le grida e i pianti non più attutiti dalle mura del ricovero. Molte famiglie sono tornate sole ad affrontare a mani nude demoni mai sopiti, allucinazioni, un universo sedato e scotomizzato che abbiamo pensato di poter relegare in quelle case bianche, simili a quella dalla quale usciva la domenica Ciccio Ingrassia per passare un po’ di tempo con i suoi cari.

Le case si sono dimostrate fragili baluardi per noi, “rimasti a casa ad attendere la notizia che uno dei (nostri) cari è morto di ferita, di malattia“.

L’isolamento imposto dalla voce del padrone ci ha consegnato un’evidenza sociale intuibile da chi conosce la storia: la libertà si è dimostrata un orpello del quale molti cittadini hanno fatto volentieri a meno. Diciamoci la verità, quel luogo comune che vuole l’Italiano ribelle ed anarchico, refrattario alle regole e disobbediente nasconde la realtà di un popolo che si è diligentemente tappato in casa, con le fisiologiche eccezioni, disciplinato, ordinato, con dovizia di denuncia dei reprobi camminatori alle forze dell’ordine.

Non abbiamo assistito a manifestazioni spontanee di cittadini che si ribellavano alla reclusione, ritenendola la soppressione di un diritto inalienabile, come ad esempio negli Stati Uniti. È la regola che non prevede la sanzione quella che l’Italiano predilige e viola, non quella dura e repressiva.

Ricordo, tempo fa, durante un viaggio in Intercity, il controllore riprendere un giovane ragazzo che poggiava i piedi sul seggiolino e fumava. Scomparso l’addetto, mise di nuovo i piedi sporchi e si riaccese una Camel. “Ma chi me lo vieta, quello? Ora non c’è piu!”. Era il figlio perfetto di una nazione che di fatto non possiede un Super-io collettivo ben strutturato, docile verso il padrone violento, ma refrattaria a sposare regole che provengano da un veto interiore, un limite etico che abbia come soggetto di salvaguardia l’altro, il paese, il vicino.

Le porte delle case e degli uffici sono state sprangate quando il clima politico era arrivato ad esalare i miasmi di un intossicamento dialettico inaudito. I pozzi della politica erano avvelenati e tanti che vi si abbeveravano sono stati costretti ad alzare la testa scrutando un orizzonte assai diverso dalle rappresentazioni deformate che gli inquinatori davano loro a bere, obbligati a rendersi conto che nessun nemico, nessun migrante, nessun diverso stava attentando alle loro fragili vite e a quelle dei loro cari.

Entità politiche violente si sono dimostrate prive di basi e vacillanti quando i nemici da loro paventati, le cui sagome di cartone venivano issate sapientemente per terrorizzare gli elettori, si sono disintegrati. Sagome invece rassicuranti per tanti che hanno fatto della rinuncia al principio di realtà la cifra della loro vita barricata.

Per tutti costoro questo momento di libertà del pensiero e dell’espressione è stato un colpo talmente forte da ritorcere i loro colli in quell’acqua fangosa, cercando come lividi rabdomanti nuove fonti sporche alle quali attingere, preferendo il veleno sicuro all’incertezza del libero pensiero.

Ecco dunque il fiorire di tesi complottarde, di nemici untori, di improbabili ma rassicuranti complotti che vedono il governo tacere sulla innegabile creazione in laboratorio del virus, complice la Cina, nazione canaglia come la dipinge Trump, non a caso maestro della denuncia alla cospirazione anti patriottica.

Per questa umanità del sottosuolo la fine dell’isolamento, le auto in colonna, i podisti in fila consolideranno le certezze paranoiche cementando ancor di più la convinzione non già di essere stati messi in salvo dalle nome governative, quanto di aver assito alla recita di una gigantesca recita ove tutto era finzione: i dati, le bare, proprio come per i negazionisti dell’allunaggio era un fotomontaggio il piede di Armstrong che calcava la sabbia lunare.

Torneremo di certo in palestra, in farmacia. Di nuovo rimodelleremo i nostri corpi ingurgitando tisane, pillole e sottoponendoci ad estenuanti rituali di salute indotta. Ma nulla sarà mai come prima, quel senso di irrimediabile finitezza e caducità che chi ha tenuto in casa per due mesi non se ne andrà tanto facilmente. Chi ha un nemico certo ed identificabile se la caverà meglio di noi, che non potremo nemmeno più credere al nostro corpo. Abbiamo, per dirla ancora con Freud, “abbassato la morte da fatto necessario a fatto casuale”, e con questo errore dovremo fare i conti.

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La quarantena ci ha costretti a fare i conti coi nostri demoni: nulla sarà più come prima

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