“Sulla base di 25 anni di studi di immunologia e immunoterapia, sono profondamente convinto che la terapia con plasma convalescente sia efficace”. A sostenerlo è Alessandro Santin, co-direttore della divisione di oncologica della Yale University, e direttore degli studi clinici controllati dell’Università del New Haven, nel Connecticut. “L’immunizzazione passiva si usa contro le malattie virali, da oltre cento anni. E’ una metodica routinaria in medicina”. Le pubblicazioni scientifiche a sostegno di questo trattamento sono due, la prima pubblicata su JAMA e l’altro PNAS, due delle riviste più autorevoli al mondo. Queste pubblicazioni per ora riguardano 5 e 10 pazienti, 15 totali. Tutti erano in fase avanzata, grave, e intubati. Dopo il trattamento sono riusciti a sopravvivere, nessun decesso. Il limite è nella casistica, troppo circoscritta per garantire e comprendere l’efficacia. Esiste poi un’altra pubblicazione che ha a oggetto 80 pazienti, ma riguarda la Sars1. In Italia il capofila di questo trattamento è il Direttore di immunoematologia Cesare Perotti di Pavia, tutto nasce da un’idea di Raffaele Bruno, Direttore di Malattie infettive del Policlinico San Matteo. Il trattamento è nato con le sperimentazioni in quattro ospedali della Lombardia: il Policlinico San Matteo di Pavia, e i presidi Carlo Poma di Mantova, Maggiore di Lodi e Asst di Cremona. A questi ospedali se ne stanno aggiungendo altri, come il Cotugno di Napoli, dove il comitato etico ha dato l’assenso al trattamento. Questa d’altronde non è una terapia nuova, è stata usata – seppur con le dovute differenze metodiche – anche contro l’ influenza spagnola del 1918. Sui profili di efficacia e sicurezza, la cautela è essenziale.
Roberto Cauda, direttore delle Malattie del Policlinico Gemelli, riconosce un potenziale significativo a questo trattamento. “Ha dato risultati interessanti sia in Cina che in Italia, a Pavia e a Mantova, in pazienti anche con forme gravi. Ma parlo da uomo di scienza, dobbiamo aspettare i risultati definitivi, la pubblicazione per comprendere al meglio l’efficacia del trattamento”. Si dibatte molto anche sul fatto che la plasma-terapia sia una procedura non applicabile su larga scala. Il plasma è “una risorsa terapeutica importante ma i dati ancora scarsi non consentono di trarre conclusioni definitive” per cui per ora la Regione Emilia-Romagna sceglie di non utilizzare al momento questa terapia sui pazienti Covid-19. Così il professor Pierluigi Viale, componente dell’Unità di crisi regionale Covid-19 e direttore dell’unità operativa di Malattie infettive del Policlinico Sant’Orsola di Bologna. Viale aggiunge: “I dati di letteratura sono al momento molto scarsi, quasi aneddotici: si riferiscono infatti a meno di venti pazienti, tutti in fase di malattia avanzata e tutti co-trattati con altri farmaci, per cui è difficile trarre conclusioni definitive”.
Anche per questa terapia secondo Viale “sarebbe necessario mettere in atto uno studio prospettico randomizzato e soprattutto verificarne l’efficacia in fase più precoce di malattia ed in assenza di co-trattamenti”. Inoltre “vi sono alcune perplessità di fondo. Innanzitutto il fatto che non si sappia se gli anticorpi presenti nel siero dei pazienti guariti siano protettivi e per quanto perdurino. Secondariamente, appare azzardato somministrare passivamente anticorpi ad un paziente – specie in una fase di malattia in cui sia possibile utilizzare risorse alternative – fino a quando non sarà chiarito il rischio che Covid-19 possa sfruttare il meccanismo attraverso cui gli anticorpi fungono da vettore di infezione da altro sierotipo virale piuttosto che da fattore protettivo. Parliamo di ciò che scientificamente viene denominato antibody-dependent enhancement. Un’ulteriore perplessità giunge dall’ipotesi che la somministrazione di plasma contenente anticorpi di un’altra persona possa innescare patologie immuno-mediate”.
Negli Stati Uniti “la Fda ha fatto qualcosa che, in 27 anni, da quando lavoro qui, non ho mai visto fare, racconta Santin: ha approvato l’uso compassionevole della plasmaterapia e un protocollo expanded access. Ovvero ha dato la possibilità, in maniera immediata, a tutti gli ospedali dei Stati uniti, di utilizzare questa terapia. Non solo, ha chiesto all’Agenzia Barda (Biomedical Advanced Research and Development Authority, parte del Dipartimento di salute e servizi umani degli Stati Uniti) di fornire gratuitamente il plasma agli ospedali – e, conclude il docente di Yale – penso fermamente che l’Aifa in Italia dovrebbe immediatamente prendere una posizione simile a quella della Fda Americana e supportare l’utilizzo immediato di questa opzione terapeutica su tutto il territorio nazionale. La rete Avis è già distribuita su tutto il territorio, la coordinazione per la raccolta e distribuzione è quindi fattibile in tempi brevi e i costi sono irrisori”.
Per seguire in tempo reale il numero di pazienti con forma grave di malattia arruolati e trattati con la plasmaterapia esiste un sito – https://www.uscovidplasma.org/ – in cui confluiscono dati raccolti dalla Mayo Clinic Health, una tra le organizzazioni più autorevoli negli States che sta conducendo uno studio sull’intero territorio nazionale. Finora negli Usa sono circa 7mila i pazienti trattati.