Lei è una Wonder Woman di periferia. Accarezza la sua pancia in attesa del bambino che verrà. È un’opera che l’artista Flavio Solo ha realizzato sui muri del quartiere Primavalle di Roma.

Wonder oggi è sola, seduta per terra ha le stelle sulla pancia e chissà cos’altro per la testa: avrà perso il lavoro? Crescerà da sola il bambino? Riuscirà a pagare l’affitto ai tempi di coronavirus? Continuerà a lavorare da super eroina con un figlio?

La immaginiamo così oggigiorno la Wonder Woman dei film di animazione, un po’ forte e un po’ disorientata, un po’ invincibile e un po’ affranta perché i tempi sono difficili anche per lei. Alla vigilia della sua prima festa della mamma, Wonder sveste i panni dell’invincibilità per indossare quelli di tutte noi, con gli stessi dubbi e le stesse sfide: già perché ci viene chiesto sempre quando diventeremo madri ma nessuno ci domanda quanti rischi saremo disposte a correre.

È una festa della mamma un po’ particolare quella di quest’anno: il Covid-19 non ha fatto altro che scoperchiare problemi incancreniti di una società da sempre miope verso le donne e verso l’infanzia. La pandemia ha aggravato questa situazione e, come sempre accade in tempi bui, a pagarne il prezzo più alto sono le donne.

Il prezzo si traduce in tante cose, dal punto di vista lavorativo, ad esempio: si stima che il 72% dei lavoratori che rientreranno gradualmente a lavoro dal 4 maggio saranno uomini e questo dato non è altro che il riflesso di una condizione pregressa che vede il tasso di occupazione delle donne in Italia non arrivare al 50%, con un gap rispetto a quello maschile di 18 punti.

A tutto questo si aggiunge che il 27% delle donne lascia il lavoro dopo il primo figlio e poi dedica alla casa e ai figli più del doppio del tempo del partner. E questo non per colpa del coronavirus. La pandemia ha solo peggiorato una situazione endemica, perché le conseguenze della chiusura delle scuole e dell’impossibilità di pagare una baby sitter (il bonus a loro destinato, in quanto tale, è insufficiente e durerà poco, mentre gli effetti della pandemia saranno a lungo) ricadranno per mentalità, substrato culturale e “convenienza” sulle madri lavoratrici.

A questo tema si aggiunge l’inconciliabile binomio smartworking versus home schooling, attualmente indistricabile se non con forti dosi di inventiva (solo quella ci è rimasta visto che fin dall’inizio è mancata ogni pianificazione politica per affrontarla) e con una rigida nonché impossibile turnazione nell’utilizzo domestico dei computer giorno/notte.

Dal momento in cui l’asse portante del welfare italiano – ovvero i nonni – sono passati alla soglia di soggetti a rischio, si è sgretolato guarda caso tutto l’impianto economico e sociale del nostro paese. Ci siamo resi conto che forse non potevamo più puntare tutto su un cavallo vincente di 70 o 80 anni ma che loro stessi avevo bisogno di cure e attenzioni.

Siamo entrate in una situazione di panico dalla quale nessuno ci ha tirate fuori e con settembre all’orizzonte, l’incertezza che avvolge il nostro destino di genitori/lavoratori nonché insegnati a tempo perso diventa nebbia nel silenzio istituzionale.

E se è giusto e comprensibile che le scuole a maggio restino chiuse per limitare l’ondata di nuovi contagi è altrettanto corretto trovare soluzioni per settembre per evitare che i nuovi contagi finiscano direttamente nelle case dei nonni su cui dovremmo fare di nuovo affidamento.

Le ricadute, per le madri lavoratrici, sarebbero altrimenti disastrose: dobbiamo evitare quel senso di sfiducia che si basa sul mero calcolo di quanto ci convenga o meno tornare a lavoro, perché il lavoro è fatto di tante cose ed è importante per ragioni economiche ma non solo. Ecco, le donne, una volta mamme, rinunciano troppo spesso a quel “non solo” pensando che la propria vita debba girare soprattutto intorno alla convenienza e meno al diritto.

Le madri, ma anche le donne in generale che madri non sono, sono sparite durante il Covid e non basterà un giorno per ricordarle. Sparite dalle task force istituzionali (sebbene le donne medico abbiano fatto la differenza nella lotta al Coronavirus), dalla pianificazione delle esigenze così come dalle scelte politiche. E senza di loro è mancato anche il tema dell’infanzia perché troppo spesso è collegato solo alla sfera femminile.

Ma per cambiare prospettiva abbiamo bisogno di una classe politica capace di leggerla, capace di intendere che 600 euro una tantum per la baby sitter non basteranno, che la didattica a distanza prevede comunque l’impiego di un genitore a casa fino ai 14 anni, che le scuole (e non solo le famiglie) dovrebbero adeguarsi in termini di spazi e numero dei docenti alle nuove norme e alle nuove necessità,

che andranno previsti incentivi per il reintegro della lavoratrici madri non perché siamo panda da tutelare ma perché i numeri parlano per noi e ci raccontano di un gender gap abissale che ci pone, nella classifica sulla parità salariale nel mondo, al 76esimo posto in un paese dove le donne guadagnano mensilmente il 18 per cento in meno degli uomini, dove per curare la famiglia, il 38,3 per cento ha modificato il proprio impegno lavorativo e dove solo il 53% lavora ricevendo, alla fine del percorso lavorativo, il 37 per cento di pensione in meno rispetto all’uomo.

Tutto questo accade da sempre, non solo ora che siamo in emergenza per il Coronavirus, ma sappiamo il Covid conferirà la botta finale.

Non siamo super eroine e oggi come oggi forse neanche Wonder Woman lo è. Però è vero che il peso sulle spalle delle donne è molto e forse ha ragione mio figlio grande che nella poesia per la festa della mamma ha scritto: la mamma è come il mondo, ti regge in piedi fino in fondo.

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