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Diritti - 10 Maggio 2020
Genova, famiglie di bambini ricoverati al Gaslini: “Con epidemia impossibile trovare stanza e stare vicino a mio figlio”. Associazione offre alloggi
Chi ha vissuto sulla propria pelle l’esperienza di un lungo ricovero lontano da casa sa quanto possa essere necessario un supporto umano che aiuti a orientarsi e, se costretto a letto è il proprio figlio, una sistemazione per la notte. E se già in tempi ordinari non tutti possono permettersi un alloggio in strutture alberghiere, soprattutto se la data di dimissione è tutt’altro che certa, in queste settimane di emergenza sanitaria legata al coronavirus la missione di trovare un alloggio è quasi impossibile. Eppure, decine di famiglie ogni giorno devono raggiungere per motivi di urgenza l’ospedale pediatrico Gaslini di Genova, istituto di ricovero e cura a carattere scientifico che presenta punti di eccellenza in diversi ambiti tra i quali l’ambito reumatologico. Così l’Associazione per le Malattie Reumatiche Infantili (Amri), fondata dal 1992 da un gruppo di genitori di piccoli pazienti e tutt’ora attiva in alleanza con il team scientifico del prof. Angelo Ravelli, da anni ha deciso di autofinanziarsi per mettere a disposizione alcuni appartamenti a pochi metri dall’ospedale.
Un’iniziativa solidale coperta solo parzialmente dai contributi chiesti agli ospiti che possono permetterseli, che nel pieno dell’emergenza si è rivelata fondamentale per Franco Nicodemo, papà di un bambino ricoverato da gennaio al Gaslini.
“Avevo trovato un alloggio per supportare mio figlio assieme a mia moglie, che può dormire in stanza con lui, ma con il lockdown si sono trovati costretti a chiudere e così mi sono trovato letteralmente in mezzo alla strada, con notevoli difficoltà anche a tornare a casa, a chilometri di distanza”. Così dopo una rapida chiamata allo sportello del Gaslini dedicato all’ospitalità, in poche ore Franco aveva in mano le chiavi di quello che ora, dopo quasi un mese, sente come il ’suo’ appartamento, a pochi passi dalla stanza dov’è ricoverato suo figlio. “Quello che vorrei testimoniare con la mia semplice storia – spiega – è che in questi momenti di difficoltà non è vero che ‘ognuno pensa per sé’, questi genitori non si sono dimenticati di cosa si passa in queste situazioni, e la solidarietà con chi, come me, si trova ora in una situazione di necessità, prevale su tutti gli ostacoli organizzativi che inevitabilmente la situazione crea per evitare i rischi di contagio”. Se la maggior parte delle strutture a pagamento, infatti, hanno chiuso per decreto o per scelta, un’attività retta esclusivamente dal volontariato come quella di Amri ha potuto tenere le porte aperte: “Nessun sacrificio particolare, ma la ferma convinzione data dall’esperienza di malattia dei nostri figli che solo insieme si possono superare con successo certi momenti”