Uscire dall’anonimato di tute e mascherine anti-covid e assumere un volto umano. Hanno cercato di farlo gli infermieri della terapia intensiva dell’ospedale Santo Stefano di Prato che si sono stampati il proprio volto sulla tuta di protezione per farsi riconoscere dietro le visiere e gli scafandri e far sentire meno soli i malati. L’idea è venuta nei giorni scorsi nell’ospedale toscano messo a dura prova dal Covid-19: solo nelle ultime settimane nella struttura c’è stato un miglioramento e i pazienti attualmente ricoverati in terapia intensiva sono meno di dieci.

“Gli infermieri vogliono farsi riconoscere non solo come professionisti – spiega la dirigente assistenza infermieristica dell’ospedale, Daniela Amazzini – ma anche come persone e tanta è la voglia di rassicurare l’altro e dirgli ‘Io ci sono, non sei solo’, anche se lontano dagli affetti della famiglia e delle persone più care. Il nostro impegno è quello di garantire l’umanizzazione dell’assistenza”.

Al Santo Stefano la situazione si è fatta drammatica nell’ultima settimana di marzo, quando tutte le 27 terapie intensive erano occupate e i contagi aumentavano di giorno in giorno. Da aprile in poi la situazione è migliorata, ma gli infermieri hanno continuato a tenere lo stesso estenuante ritmo di lavoro. “Nel nostro reparto arrivano i pazienti più gravi: nei loro sguardi c’è la paura, la solitudine, la sofferenza – racconta Beatrice Bettazzi, coordinatrice della terapia intensiva da covid – e così tutti gli infermieri hanno cercato di trovare un sistema per comunicare con i pazienti per essergli più vicini”. Ognuno di loro si è attaccato al petto una foto della propria faccia sorridente: “Quando ci hanno visti entrare con le tute personalizzate dalle nostre foto – continua Bettazzi – ci hanno sorriso, qualcuno si è commosso. Per noi è stato un momento toccante, che non scorderemo mai”.

Tra gli infermieri dell’ospedale di Prato ci sono sanitari con molta esperienza sulle spalle, ma anche giovani neo-assunti che sono stati catapultati in corsia subito dopo la laurea e spesso trasferiti nei reparti covid da altri settori. E in diverse occasioni la tenacia ha lasciato il posto allo scoramento, soprattutto perché molti infermieri durante questi mesi sono stati lontani dalle proprie famiglie per non correre il rischio di contagiare qualche familiare: “Ci sono stati momenti in cui abbiamo pensato di non farcela – raccontano oggi – ma ci siamo sempre aiutati tra noi”.

Prato è stata una delle città meno colpite della Toscana nonostante fosse la più attenzionata per la presenza della terza comunità cinese d’Europa in rapporto agli abitanti, dopo Londra e Parigi, per un totale di 25.000 persone. Eppure già da metà gennaio i cinesi di Prato avevano deciso di mettersi autonomamente in quarantena e oggi la provincia è solo al settimo posto per numero di contagi in Toscana con 536 casi positivi (sabato non ce ne sono stati nuovi), dietro a Firenze, Lucca, Massa Carrara, Pisa, Arezzo e Pistoia. Rispetto ai 27 posti di terapia intensiva occupati a fine marzo, a Santo Stefano in rianimazione ne sono rimasti solo 6: venerdì uno dei due reparti covid è stato chiuso.

@salvini_giacomo

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