Da metà marzo, per diverse settimane, le attività giudiziarie in Egitto si erano fermate a causa del coronavirus: prova ne erano stati i sette rinvii consecutivi delle udienze di Patrick Zaki.

Poi, il 28 aprile la Corte d’appello del Cairo ha deciso di andare avanti, anche in assenza di avvocati e imputati, perché nel frattempo erano scaduti molti termini di detenzione preventiva.

Così, tra il 4 e il 6 maggio, in fretta e furia i tribunali l’hanno prorogata per oltre 1600 prigionieri, compresi quelli che nel frattempo avevano superato i due anni di custodia in attesa del processo, in violazione della stessa procedura penale egiziana.

Tra gli imputati e prigionieri di coscienza cui è stata prolungata la detenzione preventiva figurano il difensore dei diritti umani Mohamed el-Baqer, in carcere dal 29 settembre 2019; l’avvocata Mahienour al-Masri, arrestata il 22 settembre 2019; i giornalisti Solafa Magdy e Hossam el-Sayed, detenuti dal novembre 2019; l’attivista Alaa Abdelfattah, ri-arrestato nel settembre 2019; e purtroppo anche lo studente dell’Università di Bologna Patrick Zaki.

Uno dei casi più assurdi è quello di Mustafa Gamal, cui sono stati imposti altri 45 giorni di detenzione preventiva. Si trova in carcere dal marzo 2018 solo perché nel 2015 aveva ottenuto un certificato di “pagina verificata” per i social del cantante Ramy Essam.

Tre anni dopo, Essam avrebbe lanciato il suo brano “Balha” (“Dattero”) che prendeva in giro il presidente Abdelfattah al-Sisi.

Gamal non ha preso parte in alcun modo alla produzione del brano e del relativo video, che come sappiamo venne diretto da Shady Habash, a sua volta incarcerato nel marzo 2018 e morto 10 giorni fa nella prigione di Tora.

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