In salute e malattia. Una coppia lo sa che ad affrontarla, la malattia, non si è mai da soli. Lo sa Pietro Ichino, uno dei più famosi giuslavoristi italiani, che due giorni fa ha detto addio a sua moglie Costanza, sposata nel 1973 e madre delle sue due figlie, affetta da otto anni da paralisi sopranucleare progressiva (pps). “Sento la vita che mi scivola via tra le dita”, è l’ultima cosa che gli ha detto Costanza prima di perdere conoscenza. Ma questi ultimi due anni, in cui la malattia di lei ha infierito di più, periodo in cui Pietro stesso ha detto che si era “impegnato a essere per lei le gambe che aveva perduto“, gli occhi e anche le braccia e le mani per lavarsi, pettinarsi, vestirsi, mangiare, non sono stati per lui “due anni di punizione: al contrario, forse, è stato il periodo più ricco e intenso di tutto il matrimonio”, ha scritto Ichino sul suo blog.
Per la prima volta, infatti, l’esperto di diritto del lavoro non si è concentrato su quale sarà la sfida centrale per il sistema politico dopo l’emergenza coronavirus o sulle ragioni che dovrebbero spingere a riaprire le attività economiche: togliendosi i panni dell’esperto, Pietro ha aperto una finestra sulla propria vita personale raccontando sul blog in una lettera-riflessione gli ultimi anni, anche se difficili, del proprio matrimonio. La moglie da anni era affetta una malattia inarrestabile, che distrugge il fisico, ma lascia intatta la capacità di intendere.
Ma anche nella malattia, l’esperto ha ribadito di aver trovato un bene nascosto. “Ogni volta che Costanza mi chiedeva di spostarsi dal letto o dalla poltrona alla carozzella e viceversa era un abbraccio stretto e qualche volta ci fermavamo a metà strada abbracciati così indugiando a dondolarsi come in un ballo cheek to cheek – ha raccontato Ichino in un’intervista al Corriere della sera – Abbiamo riscoperto la delizia di leggere ad alta voce, libri che letti insieme diventano ancora più belli”. Ma era nella notte, ha ammesso lui, in cui si trovava il coraggio di parlare della morte. Durante le “sveglie notturne per una delle tante necessità, anche solo per aiutarla a cambiare posizione nel letto, accadeva che non ci riaddormentassimo, ma restassimo a lungo abbracciati parlando sottovoce di tutto quello che ci stava più a cuore”.