La paleontropologia è una scienza in continua evoluzione e sono diversi i risultati ottenuti negli ultimi anni nello studio di resti che stanno riscrivendo la preistoria. Uno di questi riguarda la scoperta in Europa dei resti di Homo sapiens. Hanno oltre 45.000 anni, e sono perciò 2.000 anni più antichi di quanto si pensasse. Pubblicato sulle riviste Nature Ecology & Evolution e Nature, il risultato si deve a un gruppo internazionale coordinato dall’Istituto tedesco Max Planck per l’antropologia evolutiva e del quale l’Italia fa parte con l’Università di Bologna.
I resti sono stati scoperti in Bulgaria, nella grotta di Bacho Kiro, e consistono in un dente e cinque frammenti ossei che l’analisi del Dna ha attribuito all’Homo sapiens. Sono stati analizzati nelle due ricerche coordinate da Helen Fewlas; e Jean-Jacques Hublin, entrambi dell’Istituto tedesco Max Planck per l’antropologia evolutiva. Ha coordinato la datazione dei reperti l’italiana Sahra Talamo, dell’università di Bologna. “L’analisi al radiocarbonio conferma che i fossili risalgono alla fase iniziale del Paleolitico superiore e rappresentano quindi la più antica testimonianza diretta della presenza della nostra specie in Europa”, rileva Talamo.
Il sito, ha osservato Hublin, “documenta una prima ondata di Homo sapiens, che entrò in contatto con gli uomini di Neanderthal e portò in Europa nuovi comportamenti”. La conferma della presenza dell’Homo sapiens in Europa già prima di 45.000 anni fa permette di ampliare di 2.000 anni il periodo di convivenza tra la nostra specie e l’Uomo di Neanderthal, che scomparve circa 40.000 anni fa. Una coesistenza prolungata che ha inevitabilmente influenzato i percorsi delle due specie, come mostrano alcuni indizi trovati sempre nella grotta di Bacho Kiro.