Finalmente a casa. Silvia Romano, la cooperante milanese di 25 anni rapita in Kenya nel 2018 e liberata due giorni fa, è arrivata in via Casoretto a Milano. Con lei ci sono la mamma e la sorella. Un quartiere che era pronto alla festa, in attesa da troppo tempo che fosse liberata. Ad attendere la ragazza un gran folla. Sono stati i carabinieri e i poliziotti a scortarla per “difenderla” dalle persone e dai giornalisti presenti. “Rispettate questo momento” le uniche parole pronunciate rispondendo a chi le domandava se tornerà in Kenya.
E poi, per lei, fiori e cartelli di benvenuto, e anche messaggi di ringraziamento per chi l’ha liberata. Sulla porta del condominio in cui abita la madre biglietti che testimoniano quanta felicità abbia scatenato la fine della prigionia in Somalia. “La terra ha davvero tanto bisogno di persone come te, grazie di esistere“, si legge su un foglio appoggiato davanti al cancello di ingresso, mentre ce ne sono altri che ringraziano “i servizi segreti italiani e il ministero degli Esteri”.
L’applauso della folla e il saluto dalla finestra – Un lungo applauso l’ha accolta: numerose le persone che si sono affacciate alle finestre e scese in strada per salutarla. A bordo di un suv grigio la giovane indossava il tradizionale vestito delle donne somale e si è tolta per un momento la mascherina mostrando un sorriso per poi entrare nel palazzo dove risiede la madre. Poi Silvia si è affacciata alla finestra salutando tutti. La giovane cooperante milanese ha mostrato il pollice alzato e si è messa la mano destra sul cuore ringraziando tutti, mentre in strada veniva scandito il suo nome tra gli applausi. Dopo pochi secondi, la ragazza è rientrata nel suo appartamento e la finestra è stata poi chiusa anche con la tapparella.
Il presidente della Cei: “Tutti la sentiamo nostra figlia” – “Tutti, in questo momento, la sentiamo nostra figlia – ha detto il cardinale Gualtiero Bassetti, intervistato dal sito Umbria24 -. Una nostra figlia che ha corso dei pericoli enormi, che ha avuto coraggio e forza d’animo” ha aggiunto il presidente della Cei e arcivescovo di Perugia. “Questa – ha detto il presidente dei vescovi italiani – è una ragazza che ha una grande grinta e questa forza interiore sicuramente l’ha salvata, una ragazza spinta da fortissimi motivi anche religiosi ma umanitari e questo l’ha aiutata a sopravvivere. Poi c’è la serietà della nostra politica estera perché i nostri servizi segreti, la politica nel senso più nobile ha fatto la sua parte. Il ritorno di questa ragazza è il ritorno di una giovane che tutti in questo momento sentiamo la nostra figlia. C’è stata un’accoglienza, una festa da parte di tutti perché è stata una nostra figlia che ha corso pericoli enormi, che ha avuto coraggio e l’abbiamo potuta abbracciare almeno col cuore perché ora non si può fare con le braccia e con le mani e io che sono un tipo affettuoso patisco tanto”.
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Insulti sui social, si valuta una tutela per Silvia – Non ci sono stati solo applausi e messaggi di accoglienza. Di altro tenore, ad esempio, è il volantino incollato sulla vetrata posteriore di un’edicola, poco distante dall’abitazione della giovane cooperante. “Tanti di noi, stufi di dover pagare i riscatti, specie di questi tempi. Salvare una vita, meritevole, per metterne a rischio molte altre?”, c’era scritto sul foglio, staccato e gettato dall’edicolante non appena se ne è accorto. Nel volantino si criticava il fatto di “subire le ingerenze politiche delle Ong che mettono a rischio i nostri pur lodevoli connazionali”, sostenendo la necessità di “far pagare alle Ong o chi per esse le loro superficialità”. “Buonismo, perbenismo e politicamente corretto – era la conclusione – non equivalgono a ‘solidarietà’. Tutt’altro”.
Intanto si valuta il tipo di tutela, fissa o mobile, a cui verrà sottoposta la cooperante. La ragazza è stata oggetto sui social di critiche e anche, più e meno pesanti, per la scelta di convertirsi all’Islam.È attesa la decisione della Prefettura. Silvia Romano dovrà stare 14 giorni in isolamento domiciliare secondo le disposizioni per il contenimento del coronavirus. Attualmente di fronte al palazzo dove la giovane cooperante abita con la madre, e dove è arrivata nel pomeriggio, sono posteggiate quattro auto della polizia e due dei carabinieri, con gli agenti e i militari disposti davanti al portone.
Il racconto agli inquirenti, il diario trattenuto dai carcerieri – Il desiderio che Silvia – che ora ha scelto di chiamarsi Aisha come riporta il FattoQuotidiano – ha espresso è di passare “tanto tempo con la famiglia”. E da oggi, dopo aver raccontato ieri per quattro ore agli inquirenti i 18 mesi di prigionia in Somalia, potrebbe cominciare ad avverarsi questo desiderio. Silvia, che ha dichiarato di essersi convertita all’Islam, di non aver subito violenze, è stata ascoltata per quasi quattro ore nella caserma del Ros in via Salaria, a Roma, alla presenza del pm titolare del fascicolo Sergio Colaiocco. Un atto istruttorio lungo e sul quale chi indaga mantiene il più stretto riserbo.
Rogatoria dei pm di Roma – La conversione all’Islam sarebbe avvenuta a metà prigionia dopo aver chiesto di poter leggere un Corano. Un passaggio chiave per gli inquirenti, ma secondo fonti investigative, potrebbe essere stato il frutto “della condizione psicologica in cui si è trovata durante il rapimento”. L’ipotesi di un’adesione forzata all’Islam sarebbe suffragata anche da una notizia circolata nei mesi scorsi, secondo cui la giovane cooperante sarebbe stata costretta a sposare uno dei carcerieri. Ma lei ha sottolineato più volte che di non aver subito nessun tipo di violenza. La Procura di Roma è in attesa di una risposta dalle autorità somale alle quali è stata inviata una rogatoria per sollecitare la collaborazione nelle indagini. “L’ufficio del procuratore generale della Somalia sta investigando il caso ed è interessato ad ottenere supporto dall’Italia nelle indagini e nello sviluppo della azione penale contro i sequestratori” scrive in una nota, Sulaymaan Maxamed Maxmuud, giudice federale della Corte Suprema e procuratore generale della Repubblica federale della Somalia.
Il caso del gubbotto antiproiettile – I servizi segreti turchi del Mit hanno iniziato a occuparsi della vicenda di Silvia Romano su richiesta dei colleghi italiani già dal dicembre dello scorso anno. Fonti di sicurezza di Ankara lo riferiscono all’agenzia statale turca Anadolu, che nelle scorse ore aveva diffuso una foto della ragazza subito dopo la liberazione con indosso un giubbotto antiproiettile con uno stemma turco. Ma il giubbetto antiproiettile indossato da Silvia Romano “è una dotazione rigorosamente italiana, senza alcun simbolo” ed è stato fornito “nell’immediatezza” della liberazione dagli 007 italiani che l’hanno recuperata: “Non è quindi da escludersi che quella foto sia un fake” precisamo precisano fonti dell’intelligence italiana in merito all’immagine diffusa da alcuni media turchi in cui la volontaria ha un giubbotto con la mezzaluna. Gli stessi uomini che l’hanno recuperata, precisano le fonti, sono “gli stessi” che dal novembre 2018 seguono la vicenda. Due giorni dopo il sequestro di Silvia nel novembre del 2018, dicono ancora le fonti d’intelligence italiana, gli stessi 007 che nella notte tra venerdì e sabato hanno partecipato all’operazione di liberazione, “sono stati inviati in territorio keniota dove, in collaborazione con le forze locali, hanno iniziato le operazioni di ricerca anche con l’ausilio di sofisticati droni”. E sempre gli stessi 007, una volta accertato che la volontaria fosse stata portata in Somalia, “si sono trasferiti stabilmente in quel paese, senza mai interrompere le attività di ricerca, fino all’operazione dell’altra notte” quando, concludono le fonti, “in silenzio e con professionalità” è stata liberata Silvia.