In queste settimane il ritornello è sempre lo stesso. Tutta colpa della burocrazia. Almeno così sostengono i politici, i giornalisti e qualche cittadino che purtroppo sta vivendo sulla propria pelle la crisi economica causata dall’emergenza Coronavirus. Si susseguono dibattiti surreali su quel male oscuro, tutto italiano, chiamato burocrazia.

E la politica, specie le minoranze, non risparmia critiche ai lavoratori pubblici colpevoli di scrivere troppo e male. L’antilingua di Italo Calvino è il burocratese, un linguaggio comprensibile a pochi, volutamente complesso, per raggirare meglio i cittadini, sprovvisti degli strumenti della conoscenza giuridica.

A sentire molti opinionisti in tv, sembrerebbe che i burocrati decidano di adottare la linea dell’oscurantismo. Per rimanere ancorati alla propria poltrona, per ricattare i governi e gestire la cosa pubblica a proprio modo. Ma perché mai i burocrati dovrebbero avercela così tanto con i cittadini? Solo per una poltrona? Che peraltro non rischiano, dato che normalmente vengono assunti con concorso pubblico e a tempo indeterminato.

Perché mai dovrebbero avercela così tanto con le imprese in questo momento? O forse quando la politica non è in grado di dare risposte adeguate tira in ballo la sempreverde storiella della burocrazia lenta, farraginosa, inadeguata, colpevole dei ritardi e di tutti i mali del Paese? E cosa ha fatto la politica in tutti questi anni per migliorare le cose?

Nella Pa si registra sempre più l’ingresso di “esterni”. Persone che non hanno mai vinto un concorso pubblico ma sono stati scelti direttamente dalla politica in base al principio della fiduciarietà, che in molti casi fa rima con mediocrità, purtroppo. E sono loro il vero pericolo della pubblica amministrazione, yes men e yes women che non possono dire mai di no alle richieste del politico di turno, perché quelli sì, si giocano la poltrona. Eppure approfondire questi aspetti e alcune delle vere storture della Pa italiana non sembra argomento di interesse per nessuno.

Il 31 gennaio 2020 il Consiglio dei Ministri ha dichiarato l’emergenza Coronavirus. Dalla prima decade di marzo l’Italia si è preparata alla progressiva chiusura di quasi tutte le attività. Che cosa è stato fatto da allora per le aziende e le imprese?

I soldi della cassa integrazione non sono ancora arrivati, almeno non a tutti. Le imprese piccole e medie sono state costrette, nonostante la chiusura, a pagare affitto, bollette e ogni altra spesa necessaria. Sono stati promessi prestiti dalle banche garantiti dallo Stato. Tuttavia le procedure sono lente.

Tanta è la documentazione da produrre e le banche hanno discrezionalità, possono decidere se concedere o meno quel prestito. Il ritardo con cui si arriva al dl Rilancio non è colpa della burocrazia ma di una politica che non ha saputo fare scelte semplici, come hanno fatto gli altri Paesi.

E adesso serve, come ho già detto nel post del 12 aprile, un intervento veloce e chiaro da parte dello Stato che agevoli le imprese di tutta Italia, prima che sia la mafia, con prestiti usurai, a sostituirsi ad esso. E a quel punto, davvero, non ci sarà più niente da fare.

In queste ore la politica è impegnata a discutere di un testo che all’inizio superava le 700 pagine, ora ridotto ad oltre 400 e composto da 258 articoli. Complesso non perché l’hanno scritto i burocrati ma perché si tratta di provvedimenti che riguardano quasi ogni settore e attività del Paese. Più che un dl per fronteggiare la crisi economica sembra una legge di bilancio.

Sono i politici che fanno le leggi, i burocrati le applicano e sono costretti a tenerne conto anche nella stesura dei testi. Non si cerchi di sfuggire alle proprie responsabilità inventando nemici buoni per ogni occasione. Il governo, con l’aiuto di minoranze un poco più responsabili, provi a dare risposte coraggiose prima che sia davvero troppo tardi.

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