Società

Coronavirus, niente medico di base per me: cambiarlo può essere una vera impresa

Deburocratizzazione. Bisogna esercitarsi molto nella pronuncia, per quanto non siamo abituati. E’ un parolone di cui si riempiono la bocca i paladini del “big change” post-Covid. La mia è una storia che si infila tra le pieghe di una gestione finta-efficiente della Sanità della Lombardia che ha poco a che vedere con l’epidemia.

Il mio medico di base va in pensione un anno e mezzo fa. Credevo, visto che ero già inserita nel sistema, che sarebbe stato automatico il passaggio a un altro medico previa comunicazione dell’Asl. Povera illusa: alla mia prima email di richiesta, datata il 7 maggio (mica di quest’anno, del 2019), mi chiedono codice fiscale, documento di identità scannerizzato, tutte cose che si evincono dalla tessera sanitaria di cui sono ovviamente in possesso. Comunque gliele invio.

Sollecito la pratica il 2 dicembre. Me la gioco tutta e chiedo anche di inserire mia figlia residente a Milano. Nessuna risposta, faccio passare l’emergenza Covid, anche se nel mezzo della pandemia avere un medico di riferimento sarebbe stato di vitale importanza. Riavvio la pratica con Ilaria Barbierato, che di mestiere fa l’avvocato, dunque abituata a risolvere le scocciature altrui. La chiamo la mia Ba, acronimo per Assistenza alla Bestia – che sarei io.

Stamani ricevo l’email, ‘urrà’ mi canto da sola. Invece mi richiedono la stessa documentazione che avevo già inviato un anno fa. Se il buongiorno si vede dal mattino, qui siamo all’alba della non efficienza, fatta passare per eccellenza.

Vere eccellenze sono stati medici e infermieri che andavano a lavorare per consentire a noi di restare safe nelle nostre case. Otre 150 di loro sono morti, l’hanno chiamata la “strage dei camici bianchi”. Tra i tanti, voglio ricordare il dottor Marzio Zennaro, pneumologo di fama consolidata, già consigliere comunale di San Giuliano Milanese.

Dopo la pensione svolgeva attività professionale privata, era il punto di riferimento di mezza Milano. Poi a metà marzo vista la sua competenza è stato “chiamato” come volontario. Certo, poteva rifiutarsi, invece come un eroe, silenzioso, è sceso in guerra, ahimè, come tanti di loro, con “scarponi di cartone e pistola giocattolo”. Si è ammalato, aggredito da quella fame d’aria che lui conosceva troppo bene, il mostro invisibile. E’ stato rimandato a casa e dal telefono ancora confortava i suoi pazienti. Fino al giorno più brutto, di nuovo il ricovero al Sacco, terapia intensiva. L’8 aprile è morto, da solo, senza il conforto di una carezza. Aveva 69 anni. Una vita spesa per gli altri. Spezzata.

E lo voglio ricordare proprio nel giorno in cui l’Italia è scesa dalla pole position del secondo posto (stabile per un tempo infinito) al quinto, in una sorta di “campionato” al contrario. E lo dobbiamo a loro, che andavano a lavorare per consentire a noi di rimanere in casa. In salvo.

pagina Facebook di Januaria Piromallo