I comitati popolari palestinesi dei villaggi della Cisgiordania sono impegnati da settimane in un’attività a dir poco peculiare: tappare le brecce fatte dai loro connazionali nel muro costruito da Israele contro di loro e bloccare fisicamente chi cerca di oltrepassarlo. Si tratta degli stessi comitati che da quasi vent’anni organizzano manifestazioni contro l’esistenza della barriera, e che normalmente vedono l’attraversamento clandestino come un legittimo atto di disobbedienza civile. Da quando, però, la pandemia di coronavirus si è diffusa, sia pur moderatamente, in Israele (16.454 casi e 247 decessi secondo i dati ufficiali), temono che l’epidemia si estenda nei loro territori.

Il fenomeno endemico dei lavoratori palestinesi che oltrepassano di nascosto il muro per recarsi a lavorare in Israele, che prima era mera espressione di rapporti di forza sfavorevoli e di una pluridecennale colonizzazione, è ora percepito come un vero e proprio pericolo, e l’odiata barriera assume le sembianze paradossali di uno scudo di protezione.

Come se non bastasse, il Comitato d’emergenza palestinese ha denunciato un allentamento dei controlli sul versante israeliano. I buchi fatti dai pendolari resterebbero aperti per giorni e giorni, mentre in precedenza, dicono, l’esercito interveniva subito a tapparli. I soldati sosterebbero inoltre nei pressi della barriera incuranti di chi si intrufola sul lato israeliano o torna indietro.

Secondo quanto ha raccontato al sito israelo-palestinese +972 Magazine Riad Abu Hamdeh, residente di Qalqiliya, anche alcuni varchi agricoli sono stati lasciati aperti dai soldati. Il governatore di Qalqiliya Rafa Rawajbeh ha denunciato che anche le grate dei canali di drenaggio dell’acqua, tipico passaggio clandestino, sarebbero state rimosse. Il governo israeliano ha risposto che, quando ciò è avvenuto, si è trattato dell’usuale misura anti-allagamento in caso di pioggia, e ha rispedito al mittente queste denunce come incitamenti al razzismo. Rawajbeh sostiene che la pioggia era minima e, in precedenza, erano state necessarie complesse procedure burocratiche per ottenere l’apertura delle condotte. Israele ha replicato che se continueranno queste insinuazioni l’esercito interverrà, ma a limitare i movimenti delle autorità palestinesi lungo il muro.

I Territori occupati hanno patito finora, secondo l’Autorità nazionale palestinese, 375 casi di Covid e 4 decessi. Il governatore della città di Jenin, Akram Rajoub, non crede vi sia da parte di Israele una volontà di usare il virus contro la popolazione occupata, magari considerata intralcio per il piano di annessione di parte della Cisgiordania, annunciato da Netanyahu e sostenuto da Trump.

Si tratterebbe invece di imbarazzo per il fatto che i contagi in Cisgiordania sono molti meno che in Israele. Sia come sia, non è il primo paradosso palestinese in tempo di pandemia: l’Anp ha infatti istituito checkpoint per limitare i movimenti dei residenti in Cisgiordania e rallentare i contagi, dedicandosi a un genere di attività che era stata finora appannaggio, per tutt’altre ragioni, delle forze d’occupazione. Per questo il primo ministro palestinese Mohammed Shtayyeh ha proposto di chiamarli “checkpoint dell’amore” o “checkpoint della compassione”, consapevole del problematico impatto simbolico che avrebbero avuto.

La Cisgiordania è occupata da Israele dal 1967. Nel 1987 e nel 2000 la popolazione è insorta sia con mezzi pacifici che con le armi, e nel 2002 il governo israeliano ha avviato la costruzione di un muro di 712 km, alto dai tre ai dieci metri, per controllare i movimenti verso Israele e Gerusalemme est, a sua volta occupata nel ’67. Il muro intende isolare dai palestinesi anche molte delle 256 colonie ebraiche presenti in Cisgiordania, estendendo quindi il proprio perimetro all’interno del territorio occupato. Per questo, e perché la costruzione di colonie nei Territori è stata condannata dall’Onu nel 1979 (condanna reiterata nel 2016) il 9 luglio 2004 la Corte internazionale di giustizia, sollecitata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ha dichiarato illegale il muro e ne ha chiesto lo smantellamento.

La pandemia sta imponendo quindi ai palestinesi, per tutelare la propria salute, di essere “complici” di un’illegalità internazionale sulla cui persistenza, da diciotto anni, cercano inutilmente di attirare la nostra attenzione.

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