Secondo le ipotesi del nucleo di polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza, in questi anni la società capitolina che si occupa della raccolta dei rifiuti e dell’igiene urbana della capitale avrebbe protetto i propri conti dalla fortissima esposizione nei confronti delle banche. Alla base delle operazioni contabili contestate c’è la Tari, la tariffa rifiuti che Ama incassa dai cittadini soltanto in qualità di ente riscossore, ma che poi riversa (o dovrebbe riversare) al Comune
Almeno quattro anni di falso in bilancio, fra il 2013 e il 2016, per circa 445 milioni di euro e la “distrazione”, nel 2019, di altri 250 milioni di competenza del Comune di Roma serviti per pagare le banche che minacciavano la chiusura delle linee di credito. Così, secondo le ipotesi del nucleo di polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Roma, in questi anni l’Ama Spa – la società capitolina che si occupa della raccolta dei rifiuti e dell’igiene urbana in città – avrebbe protetto i propri conti dalla fortissima esposizione nei confronti delle banche. Alla base delle operazioni contabili contestate c’è la Tari, la tariffa rifiuti che Ama incassa dai cittadini soltanto in qualità di ente riscossore, ma che poi riversa (o dovrebbe riversare) al Comune di Roma. Ma invece che nelle casse capitoline, una buona fetta di soldi sarebbero finiti agli istituti di credito. Secondo i finanzieri agli ordini del colonnello Gavino Putzu, che nella mattinata di martedì si sono recati in Ama per il sequestro dei relativi documenti contabili, gli esercizi dal 2013 al 2016 (ultimo bilancio approvato) hanno rappresentato “un quadro aziendale caratterizzato da una totale confusione fra il patrimonio proprio ed il patrimonio di pertinenza di Roma Capitale”. Soprattutto “la Tari non fa parte del suo patrimonio e, dunque, dovrebbe essere indisponibile per la partecipata”.
Il presunto falso in bilancio fra il 2013 e il 2016 e gli indagati – Dalle analisi degli inquirenti emerge che “l’intera liquidità disponibile sui conti aziendali al termine dei rispettivi esercizi risulta rappresentata nei bilanci approvati quale finanza propria, senza alcuna separazione rispetto a quella conservata sul conto corrente” della Banca Popolare di Sondrio, “detenuta per conto del titolare esclusivo Roma Capitale”. Tradotto: la Tari è del Comune e l’Ama non poteva farla passare come propria, alterando così i bilanci. Le cifre sono 76.714.540 euro per il 2013, 110.181.566 euro per il 2014, 140.582.393 euro per il 2015 e 118.062.572 euro per il 2016. Per i relativi anni di competenza risultano indagati per falso in bilancio l’ex presidente ai tempi del sindaco Ignazio Marino, Daniele Fortini – nominato da Nicola Zingaretti prima consulente sui rifiuti e poi numero uno della società regionale Lazio Ambiente Spa – e i componenti del cda Rodolfo Murra – oggi capo dell’avvocatura della Regione Lazio – e Carolina Cirillo – nominata da poco da Virginia Raggi direttrice della centrale acquisti del Comune di Roma; con loro Antonella Giglio, scelta per un breve periodo (a cavallo fra il 2016 e il 2017) dalla stessa sindaca di Roma come amministratore unico di Ama. Ai quattro indagati, va precisato, vengono contestati nel capo di imputazione i bilanci del 2015 e 2016, per un totale di circa 258 milioni di euro. Fra gli indagati c’è la stessa Ama Spa, rappresentata legalmente dall’attuale numero uno, Stefano Zaghis.
La “distrazione” da 250 milioni e la cacciata di Bagnacani – Ma nel decreto di sequestro della Guardia di Finanza viene raccontato un altro episodio, più recente. Siamo a inizio 2019 e impazza la polemica fra i vertici di Ama, guidata dal manager Lorenzo Bagnacani, e il Campidoglio, rappresentati dalla sindaca Raggi e dal direttore generale Franco Giampaoletti. Le parti litigavano sull’ammontare delle partite creditore e debitorie e in particolare su una voce da 18 milioni che non permetteva ad Ama di approvare il bilancio 2017, mettendo in difficoltà l’azienda – a detta di Bagnacani – di fronte alle banche, che minacciavano di chiudere le linee di credito. I vertici di Ama, fra le altre cose, volevano trattenere in azienda (contro il volere del Campidoglio) la cifra di 250 milioni di euro relativa alla Tari, che dovevano servire a “tenere aperte le linee di credito” e “garantire gli stipendi”. Gli ex manager furono cacciati pochi giorni dopo. Scrivono oggi i finanzieri, citando una relazione ispettiva della Bce sui conti della Banca Popolare di Sondrio: “Vi è stato – si legge – l’accertamento in merito all’illegittimo utilizzo da parte di Ama dei 250.000.000 di euro provenienti dalla Tari per il rimborso dei finanziamenti bancari”. Il problema è che, a quanto si apprende dai documenti della Finanza, non è stato posto rimedio, condizione che è arrivata a interessare anche gli attuali vertici: “Risulta – si legge ancora – che alla fine dell’anno 2019 Ama Spa abbia addirittura distratto 250 milioni di euro di fondi Tari per destinarli, a proprio vantaggio, alla estinzione di obbligazioni finanziarie contratte verso il sistema bancario”.
Il debito di Ama, i bilanci sospesi e le banche creditrici – Ad oggi Ama non ha ancora ottenuto dal Comune di Roma – socio unico – l’approvazione dei bilanci del 2017, del 2018 e del 2019. Al momento, come riporta la Guardia di Finanza, “e’ possibile rilevare l’esposizione debitoria di Ama Spa incrementata da 1,3 miliardi di euro del 2010 ad 1,6 miliardi di euro del 2016”. Inoltre, “particolarmente rilevante è l’esposizione verso il sistema bancario, nonostante il decremento da 620 milioni a 502 milioni di euro nell’arco temporale monitorato”. Il sostegno finanziario ad Ama viene garantito da Unicredit Spa, Banca Popolare di Sondrio e Monte dei Paschi di Siena. C’e’ poi una linea di credito la “A” garantita dalla Bnl “attraverso un contratto di ristrutturazione del debito ad interesse variabile, associato ad una operazione in swap a copertura del rischio di rialzo del tasso”. I finanzieri hanno effettuato sequestri anche presso le sedi della Banca Popolare di Sondrio e della Bnl Paribas.