Per la liberazione di Domenico Quirico, l’Italia pagò 4 milioni di dollari. A dirlo non fu il Giornale, che ieri ha titolato “Silvia è una ingrata”, ma Foreign policy.
Sulla vicenda del giornalista della Stampa non c’è stato un dibattito così acceso. Non ho letto che “Quirico se l’era cercata”, che era “inesperto”. Anche se era entrato in un paese in guerra affidandosi a persone ambigue, senza parlare una parola di arabo e conoscendone quattro in croce di inglese. Tanto meno si è discusso su quanto il governo avesse sborsato per pagare i suoi sequestratori siriani. O del fatto che fosse recidivo, visto che nel 2011 era già stato fermato per due giorni da miliziani libici.
No, il trattamento è stato differente. A partire dalle mani calde della Bonino sulle sue guance, fino ad essere stato incensato da stampa e editoria, vincendo premi su premi guadagnandosi l’appellativo di “esperto”. Qual è la differenza con Silvia Romano, che in Kenya non ci era andata per glorificare il proprio ego, come spesso fanno i corrispondenti di guerra, ma ad aiutare?
Il motivo è che Quirico fa parte di una categoria, cioè quella di chi scrive le notizie? Perché è uomo? Perché da ex trotskista è diventato cattolico? O, ancora, perché ha definito il paese dove è stato sequestrato “il paese del male” e la religione islamica in “antitesi” con i valori occidentali?
Meglio se Silvia Romano avesse nascosto la sua conversione all’Islam, non mostrandosi con il velo. Se fosse scesa dall’aereo con un crocifisso, parlando male dei musulmani sarebbe diventata la nuova Oriana Fallaci per Sallusti. Non la carcerata dei campi di concentramento nazisti che esce, libera, e veste ancora l’uniforme della Gestapo.
In tutta questa storia, a provocare gli istinti più crudi e bassi c’è anche, e soprattutto, il fatto che sia donna. E che al posto delle lacrime abbia mantenuto sempre il sorriso, nascondendo la tragedia interiore che ha vissuto. Capiamo comunque che 4 milioni pagati per salvare una vita siano troppo pochi rispetto ai 49 che qualcuno ha fatto sparire.