Alessandro Del Piero è fermo a bordocampo. È accosciato, con lo sguardo fisso verso la punta dei suoi piedi e le mani che si muovono veloci. Tutti pensano che si stia allacciando gli scarpini, invece sta ricacciando indietro le lacrime. Per la seconda volta. Perché in quel pomeriggio del 13 maggio 2012 i quarantamila dello Stadium non la smettono un attimo di pronunciare il suo nome. “Un capitano, c’è solo un capitano”, urlano. “Un altro anno, Del Piero un altro anno”, scongiurano. Eppure sanno già come andrà a finire. Lo sanno tutti. Da mesi. Perché il 18 ottobre 2011 Andrea Agnelli aveva deciso di mettere in chiaro le cose. E lo aveva fatto durante l’assemblea degli azionisti della Juventus. “Dedicherei un applauso al nostro capitano Alessandro Del Piero – aveva annunciato – in quanto ha fortemente voluto rimanere qui con noi un altro anno, il suo ultimo in bianconero”.

Parole che prendono la forma di una sentenza. Anche perché il numero dieci bianconero ha 37 anni. Troppi per reclamare un posto da titolare nell’undici di Antonio Conte. Ancora troppo pochi per essere confinato in panchina a recitare la parte del totem. E visto che pur di restare alla Juventus aveva deciso di firmare un contratto in bianco, ora Del Piero rischia di diventare un caso. Con Conte trova poco spazio. Anzi, non ne trova quasi mai. Pinturicchio parte sempre fra le riserve. Senza mai fiatare. Qualche volta resta seduto per tutta la partita, più spesso si alza per giocare una manciata di minuti. La scena più emblematica si era materializzata sette giorni prima. Il 6 maggio il Cagliari aveva ospitato la Juventus. Non al Sant’Elia, ma al Nereo Rocco di Trieste. Una partita fondamentale.

Perché a 180’ dalla fine i bianconeri avevano appena un punto di vantaggio sul Milan. Serviva una vittoria. Che puntualmente era arrivata grazie al gol di Mirko Vucinic e all’autorete di Michele Canini. Alessandro Del Piero era rimasto seduto per per tutto il match. Novanta minuti più recupero, con l’orecchio teso dalle notizie che arrivavano da Milano. L’Inter aveva battuto 4-2 il Milan, la Juventus era campione d’Italia. E il suo capitano era rimasto nell’ombra, senza che nessuno gli chiedesse aiuto. Ora però è diverso. Perché in quel pomeriggio del 13 maggio 2012 la Juventus ospita l’Atalanta. Una partita inutile. Novanta minuti da dover riempire prima di poter alzare al cielo di Torino il trofeo di campioni della Serie A. Il giorno prima Antonio Conte si è presentato in sala stampa e ha rassicurato tutti, ha annunciato che stavolta il capitano sarebbe sceso in campo dal primo minuto. “Alex sarà titolare come lo è stato nella partita inaugurale del nostro impianto, contro il Notts County, e alla prima giornata di campionato contro il Parma – ha spiegato – È una scelta doverosa. Non è tanto un tributo alla sua carriera, ma una decisione presa soprattutto in vista di quello che Del Piero dovrà fare domani contro l’Atalanta e quindi domenica prossima, in Coppa Italia contro il Napoli”.

Una zolletta di zucchero pronta a sciogliersi in un mare di lacrime. Del Piero annuisce e si allaccia intorno al braccio la fascia di capitano. Dopo appena un minuto Cazzola prova a dimostrargli che non si tratta di una partita finta, di plastica, ma di un match vero, fisico, duro. Il centrocampista nerazzurro entra forte sul numero 10 bianconero. All’improvviso, Del Piero sente il dolore affondare i denti nel suo ginocchio mentre le sue labbra si contorcono in una smorfia. Ma Alessandro Del Piero non può mollare. Non in quel giorno. Non davanti al suo pubblico. Il capitano si rialza e continua a giocare. Anche se sa benissimo che non riuscirà a portare a termine la partita. Anche se è consapevole che è solo una questione di minuti e poi tornerà a sedersi in panchina. Del Piero resta al suo posto e osserva Marrone spedire sotto la traversa il gol del vantaggio bianconero. Poi, al 28’, riceve da Giaccherini fuori dalla lunetta dell’area di rigore. La difesa dell’Atalanta ha un assetto balneare, così il numero 10 schiaffeggia il pallone e lo spedisce all’angolino. Il capitano tira fuori la lingua mentre lo Juventus Stadium esplode all’unisono.

Quarantamila voci che si mescolano in un unico, immenso, orgasmo collettivo. Il resto della partita è roba buona per le statistiche. Perché il vero finale va in scena al 12’ del secondo tempo. Conte richiama in panchina Del Piero e manda in campo Pepe. Il tempo si dilata fino a perdere senso. In campo inizia una processione per stringere la mano a Pinturicchio. Compagni, avversari, persino l’arbitro ci tengono a congratularsi con lui, a ricordargli ancora una volta che cosa ha rappresentato. Poi Del Piero si inchina a quello che per 19 anni è stato il suo pubblico e si avvia verso la panchina. Si siede fra Vucinic e Marchisio. Ma dura poco. I tifosi dello Stadium non hanno nessuna intenzione di lasciarlo andare. Il capitano si issa sul bordo della panchina, poi inizia un giro di campo infinito. Sulle tribune la gente si alza in piedi, batte le mani, manda baci, piange. Qualcuno tira fuori un cartello con scritto: “Parlerò di te ai miei figli”, altri espongono un drappo in cui Del Piero è raffigurato come Gesù. Dalle gradinate piovono sciarpe. A decine.

Il capitano le raccoglie qualcuna in segno di rispetto. Con i brividi che sfrecciano lungo la sua schiena e quella sensazione di calore che si dilata nella gola. È un momento collettivo ma allo stesso tempo intimo. Un tempo che appartiene solo a loro. Al capitano e ai suoi tifosi. Qualche minuto più tardi Del Piero alza il trofeo di campioni d’Italia. Non ha la maglia bianconera, ma la seconda divisa. È di colore rosa intenso e ha una stella nera sul davanti. Non è la casacca che tutti si aspettavano per quel momento ma nessuno se ne accorge. Perché il momento più atteso è già passato. La messa è finita, andate in pace. Alla fine della storia di Pinturicchio manca ancora un atto. La finale di Coppa Italia contro il Napoli. Si gioca a Roma, in campo neutro. In tribuna c’è Noel Gallagher, che è venuto a guardare la partita come ospite di Del Piero. La Juventus ha preparato una patch, una toppa, per celebrare l’evento. A disegnarla è stato lo stesso capitano.

Ci sono le due date estreme, quella del 12 settembre 1993, il suo debutto, e quella del 20 maggio 2012, l’ultima partita in bianconero. Per qualcuno è alfa e omega, per altri assomiglia sinistramente a un epitaffio. Fatto sta che completano l’opera l’autografo del giocatore e la scritta “One Love”. L’epilogo, però, è molto diverso rispetto a quello di una settimana prima. Il Napoli vince 2-0 grazie ai gol di Cavani e Hamsik, mentre del Piero, che lascia il campo al 68’, non riesce ad arrivare alla sufficienza. Negli spogliatoi il capitano si sfila per l’ultima volta la maglia della Juventus. Due giorni dopo sarà per l’ultima volta a Vinovo. Deve svuotare il suo armadietto. Ad accoglierlo non c’è nessuno. Solo Paolo De Ceglie che sta seguendo un programma di recupero e una manciata fra custodi, fisioterapisti e giardinieri. E non poteva esserci miglior addio, forse, per un campione che non è mai stato un divo.

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