C’è un tempo nella vita di tutti in cui si imparano i testi delle canzoni senza conoscerne e capirne bene il significato, potendo in questo modo pronunciare contenuti che non dovrebbero stare in bocca a un bambino.

Uno di quei canti di me piccola è stato Minuetto. Un 45 giri tra quelli preferiti di mia madre, che quindi suonava spesso nello stereo di casa, la cui copertina mi pareva così particolare, con quel trionfo di toni rubino, di legno antico, di serietà, austerità, sobrietà. Una ragazza dai capelli rossi, un cane, la solitudine. Già allora.

Minuetto di Mia Martini. Un capolavoro, che solo molto più tardi ho realizzato essere stato scritto, ispirandosi proprio alla vita sentimentale della stessa Mia Martini, da uno dei miei miti di sempre: lui, il Califfo, Franco Califano. La parte che preferivo era quella finale in cui lei andava su con la voce in ‘Sono tua sono tua sono mille volte tua’ ma appunto, il mio piacere inconsapevole era tutto solo nelle note, nella tonalità di quella melodia, di quei na na na.

Di lei, bellissima, bella di una bellezza aspra e selvaggia come la sua terra d’origine (la Calabria), ricordo soprattutto Minuetto e Piccolo uomo, un grandissimo successo del ’72 (testo di Bruno Lauzi e Michelangelo La Bionda, musica di Dario Baldan Bembo).

Poi la accantonai. Crescevo, ero adolescente, negli anni Ottanta i dischi miei li sceglievo io, coincidevano ancora con quelli della mamma, ma mi ero impossessata già della mia autonomia musicale e allora avevo accordato la mia preferenza all’altra sorella Bertè, che in quegli anni mi pareva più ‘moderna’: Non sono una signora, E la luna bussò, In alto mare. Insomma, Mia Martini mi sembrava a quel punto troppo seria, troppo triste.

Nemmeno sapevo che stava affrontando il dolore di una riabilitazione dopo due interventi alle corde vocali che le avrebbero cambiato per sempre il timbro, virando a una sonorità sempre più roca con il passare degli anni e a interpretazioni sempre più forti, drammatiche, potenti, profonde come i suoi occhi scuri. Nemmeno mi interessai a quanto peso avesse avuto la storia artistica e sentimentale con Ivano Fossati. Non potevo immaginare che quel premio della critica che a Sanremo le conferirono nell’82 proprio per un brano scritto da lui, E non finisce mica il cielo, sarebbe diventato Premio Mia Martini, poi.

Rimasi di nuovo sbalordita quando, dopo il suo ritiro per alcuni anni dalle scene, Mimì tornò a incantare il mondo con un’interpretazione sublime e magistrale di Almeno tu nell’universo, testo composto ancora una volta da Bruno Lauzi ai tempi di Piccolo uomo. Questo capolavoro era rimasto nel cassetto per tutto quel tempo prima di brillare di luce infinita, tanto da essere poi riproposto in maniera altrettanto meravigliosa da Elisa nel 2003, e interpretato, all’ultima edizione di Sanremo dello scorso febbraio, da un emozionato Tiziano Ferro, che ne ha eseguito una sua personale versione.

E su quel palco nel ’92 Mia Martini regalò una delle sue più intense e struggenti pagine con Gli uomini non cambiano, canzone amara, con un testo molto duro (Giancarlo Bigazzi, Marco Falagiani e Giuseppe “Beppe” Dati) che purtroppo meritò solo il secondo posto, ma rimase nel cuore delle donne, rappresentando un manifesto di tutti i tradimenti a partire dal padre fino agli uomini che ‘ridono di te’. Tra le canzoni degli ultimi anni rimane spettacolare il duetto con Roberto Murolo nella splendida Cu ‘mme di Enzo Gragnaniello.

Purtroppo, pur volendo parlare solo della sua immensa arte e del suo raffinato talento sia di interprete che di autrice, non si riesce a dimenticare il male che ha attraversato la sua vita, le accuse infami di portare sfortuna che, oltre a ferirla enormemente, le hanno provocato alcune ripercussioni sulla carriera. E deve aver avuto tanto coraggio nell’affrontare una così sbalorditiva viltà che le veniva inflitta. Infine, il mistero attorno alla sua morte.

Mia Martini sensibile e sola se ne andò, e lo fece in un modo che sbalordì ma non troppo, forse, mentre ascoltava in cuffia un brano che stava preparando per uno dei suoi concerti. Mimì lasciò un mondo che non le apparteneva e che l’aveva rifiutata. Di lei dicono avesse una risata forte, che fosse solare, che amasse l’amore e che desiderava tanto essere amata.

Nella sua autobiografia Traslocando, Loredana Bertè dedica molti racconti agli anni giovanili trascorsi con Renato Zero e l’adorata sorella, e un capitolo intero alla sua struggente scomparsa. Una ferita mai guarita nel suo cuore pervaso anche dal senso di colpa per non aver risposto al telefono che aveva squillato a lungo quella notte.

Ci ha lasciato troppo presto Mia Martini, a soli 47 anni, quando era tornata sulle scene pronta a riprendersi il mondo. Era una donna che amava la verità. In una delle sue ultime interviste si definì una pietra appuntita in mezzo a tante pietre levigate, non romantica né sentimentale come tutti la vedevamo. E forse resterebbe stupita, lei che non desiderava essere un idolo, bensì una persona normale, che dopo 25 anni di assenza resti in noi un affetto immutato, anzi oggi forse più grande e sincero.

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