Scuole aperte, prima di settembre, per gli studenti che in questi mesi non sono stati raggiunti dalla didattica a distanza e che rischiano di non recuperare il gap con i compagni di classe. È l’ipotesi contenuta nell’ordine del giorno approvato sul decreto Covid-19 e firmato dal presidente della VII Commissione Cultura alla Camera, Luigi Gallo (M5S). Che non esclude un ritorno tra i banchi (anche se non per tutti) già dalle prossime settimane. L’odg impegna il governo a occuparsi di questi bambini e ragazzi, i maggiormente penalizzati dalla chiusura delle scuole. Una proposta destinata a far discutere, quella avanzata dal parlamentare, che sta preparando anche un testo normativo, con l’obiettivo di non lasciare che questi studenti restino fuori dal percorso didattico, oltre che lontani da compagni e docenti. Recentissimo, a riguardo, l’allarme lanciato da Save the Children, secondo cui quasi un bambino su 10 di età compresa tra 8 e 11 anni non segue mai le lezioni a distanza o lo fa meno di una volta a settimana. ilfattoquotidiano.it ne ha parlato con il presidente della Commissione Cultura alla Camera.
Presidente Gallo, non crede che l’ipotesi dell’apertura delle scuole possa essere rischiosa, considerata l’emergenza legata al contagio?
“Ho proposto l’apertura delle scuole solo per questi bambini e ragazzi, ma solo in assoluta sicurezza e predisponendo le misure del distanziamento fisico e l’uso obbligatorio di dispositivi di protezione personale. Tutti gli studenti dovranno seguire regole stringenti da settembre, ma pensando a un gruppo più ristretto, di quattro o cinque ragazzi, credo si possa valutare la possibilità di iniziare prima. D’altro canto è ormai chiaro che, a causa del percorso di apprendimento interrotto, si sono creati dei gap che devono essere recuperati quanto prima. Si darebbe la priorità ai ragazzi che stanno pagando di più il distacco dalla comunità scolastica, come i diversamente abili e quelli che vivono in famiglie con maggiori difficoltà socio-economica, dove si fa più fatica a seguire le video-lezioni e i percorsi educativi a distanza”.
Che dati avete a riguardo? Quelli di Save the Children non sono incoraggianti
“Come segnalato nello stesso ordine del giorno, da un monitoraggio del ministero dell’Istruzione risulta che il 6% degli alunni non è raggiunto dalla didattica a distanza. Parliamo di circa 42mila studenti. Ci sono altri sondaggi, però, sempre su vasta scala, che rivelano cifre di alunni esclusi ben più alte”.
Secondo gli ultimi dati Istat, in Italia più di 4 minori su 10 vivono in abitazioni privi di spazi adeguati allo studio e il 12,3% non ha un computer o un tablet in casa per seguire le lezioni a distanza. Chi ce l’ha, nel 57% dei casi deve condividerlo con gli altri familiari. Sono queste le basi su cui è partita la didattica a distanza
“È uno strumento importante, che ha aiutato a non spezzare completamente i percorsi didattici. Voglio ricordare che il ministro dell’Istruzione ha fornito tablet, pc e traffico dati a studenti che ne erano sprovvisti investendo 165 milioni di euro. Ma non possiamo dimenticare che 1,2 milioni di alunni nel nostro Paese rischiano che questa emergenza abbia conseguenze gravi. Perché diversamente abili e, quindi, maggiormente penalizzati dal lungo lockdown, perché non possono contare sulla presenza di genitori che li seguono o semplicemente perché vivono in appartamenti piccoli dove è difficile trovare spazi per potersi dedicare allo studio. A tutto questo si aggiunge il gap tecnologico con i compagni”.
Lei sta preparando anche un testo normativo per sostenere il recupero di questi studenti. Cosa prevederebbe la misura?
“L’obiettivo è quello di elaborare un piano nazionale che coinvolga tutto il Governo e sia rivolto ai Comuni, in modo che si possano sviluppare prima di settembre dei percorsi educativi di emergenza, intervenendo in modo straordinario, con finanziamenti ad hoc. Cuore della misura è la collaborazione tra Comuni e scuola con l’obiettivo di creare spazi e percorsi didattici di recupero. Questi ragazzi dovrebbero ritornare a fare lezione con i loro docenti, o almeno incontrarli, al più presto. Magari affiancati da figure quali psicologi, pedagogisti e assistenti sociali, perché i docenti non possono essere soli nell’affrontare questa situazione e c’è bisogno di costituire un team educativo con altre professionalità che possano gestire l’emergenza. Poi, però, bisognerà investire e riorganizzare una scuola, dicendo addio alle classi pollaio. Quello è già il passato”.