“Un muro di gomma, il rifiuto di mettere in sicurezza l’ambiente di lavoro, perché prevede costi su cui si pensa evidentemente di poter risparmiare. Ma anche il volto dell’imprenditoria rapace che punta al profitto e mette in secondo piano la componente umana delle maestranze e dell’ambiente in un cui una fabbrica è inserita”. Sono passate poche ore dall’esplosione avvenuta nello stabilimento 3V Sigma di Porto Marghera, in una parte del Veneto è allarme per la nube tossica anche se il vento l’ha portata verso la laguna. Ma i sindaci hanno invitato a tenere le finestre chiuse in vaste zone delle province di Venezia, Padova e Treviso. Nei reparti grandi ustionati degli ospedali di Padova e Verona i due lavoratori investiti dalle fiamme lottano per sopravvivere e qualche loro collega è stato accolto nel pronto soccorso di Mestre per aver inspirato le esalazioni di acidi. Ma chi conosce bene la storia di Porto Marghera e delle relazioni sindacali già riflette sul significato di quanto è accaduto. Di un “muro di gomma” parla Giuseppe Callegaro, segretario veneziano dei chimici aderenti a Femca-Cisl, il sindacato più forte presente in fabbrica. Dell’ennesimo “frutto cattivo dell’albero di un’industria predona” parla, invece, Gianfranco Bettin, presidente della Municipalità di Marghera. Ed entrambi condividono sul fatto che la tragedia fosse prevedibile, annunciata.

“Sono due anni che denunciavamo quanto stava avvenendo alla 3V Sigma, che ha 47 dipendenti. Cinque giorni fa abbiamo spedito all’azienda una richiesta urgente di incontro proprio sui temi della sicurezza. Ma due mesi fa siamo andati davanti al prefetto per spiegare che la situazione era insostenibile”. Che cosa è accaduto? “L’azienda produce solventi e additivi per le plastiche, sostanze tossiche e nocive. Da quanto è stato possibile capire, dopo una forte esplosione ha preso fuoco uno dei tank da 10mila litri di prodotto che si trovano nel cortile. È proprio di questo che avevamo parlato con il prefetto”. Risultato: “L’azienda si era impegnata a spostarli in un’altra area. Non è stato fatto niente. A parte che quelle sostanze non possono essere conservate in serbatoi in plastica, dovrebbero richiedere collocazioni adeguate. E invece all’incontro in prefettura i rappresentanti della Sigma sono arrivati sbandierando alcuni verbali Spisal secondo cui qualcosa non era a posto, ma non c’era niente di scandaloso”.

Le proteste dei lavoratori vengono da lontano: “Nel luglio 2019 abbiamo scioperato 8 ore chiedendo precisi interventi sulla sicurezza in punti molto carenti: la sala quadri, l’impianto di illuminazione, i dispositivi di protezione individuale che venivano centellinati, lo stoccaggio del prodotto”. In tutta risposta è arrivata “una denuncia per diffamazione, a causa di un’intervista su un giornale locale”.

La 3V Sigma fa capo a una famiglia di industriali bergamaschi. “A Marghera avevano deciso di avviare una nuova linea produttiva – svela Callegaro – perché, essendo una ‘area complessa’, avevano deciso di usufruire dei finanziamenti a fondo perduto, fino al 25 per cento, per progetti innovativi di importo superiore al milione e mezzo di euro”.

Il sociologo Gianfranco Bettin, prima esponente dei Verdi, ora del centrosinistra, ha una visione di tutto il modello di sviluppo di Porto Marghera, la zona industriale di fronte a Venezia. “Un operaio mi ha raccontato di aver assistito all’esplosione e di essersi buttato giù dalle scale, riuscendo a salvarsi. Purtroppo c’era da aspettarselo, vista la carenza di investimenti sulla sicurezza e sull’adeguamento degli impianti. Quanto accaduto, è il simbolo della fase caotica che sta subendo l’industrializzazione a Marghera”. Bettin spiega: “Troppe aziende vedono con fastidio il tema della sicurezza e non rispondono alle richieste dei lavoratori. Non è bastato lo sciopero di un anno fa e nemmeno l’incontro dal prefetto. Questo è un pezzo di una situazione più generale che riguarda Marghera e le sue industrie. Se non si investe e si pensa soltanto a lucrare su una fase economica, poi accadono questi disastri. Processi di transizione di questo tipo sono avvenuti anche in passato e nascono da un’esigenza di sfruttamento che comporta però gravi rischi sia per le persone che per l’ambiente”.

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