Durante l’incontro di giovedì pomeriggio con i metalmeccanici, l'azienda aveva annunciato che la ripartenza di alcuni impianti era slittata e per circa 600 lavoratori sarebbero stati prorogati gli ammortizzatori. Nemmeno una parola, secondo i sindacati, sulla ulteriore riduzione di personale. I franco-indiani sembrano intenzionati ad arrivare a un altro scontro col governo
Sono arrivati in fabbrica come tutte le mattine, ma il loro badge era disattivato: la cassa integrazione è partita nel cuore della notte e nessuno ne era a conoscenza. È l’ultima disavventura dei lavoratori di Arcelor Mittal, la multinazionale che gestisce gli impianti dell’ex Ilva di Taranto, di Novi Ligure e di altri stabilimenti italiani. Sono circa mille i lavoratori che hanno scoperto di essere stati collocati in cig senza preavviso. O meglio, il preavviso era stato inviato nel corso della notte attraverso il portale interno dell’impresa.
Una mossa che i vertici del colosso franco indiano non hanno precedentemente condiviso con i sindacati. Anzi. Durante l’incontro di ieri pomeriggio tra metalmeccanici e azienda, questa aveva annunciato che la ripartenza di alcuni impianti era slittata e quindi per circa 600 lavoratori sarebbero stati prorogati gli ammortizzatori sociali. Nemmeno una parola, stando a quanto raccontano i sindacati, sulla ulteriore riduzione di personale negli impianti.
Una modalità che Francesco Brigati di Fiom definisce “piratesca e provocatoria” perché compiuta “senza il coinvolgimento del sindacato” l’ultimo incontro “per comunicare la fermata di alcuni impianti”. Per Brigati, inoltre, quelle fermate “non hanno una chiara motivazione se non quella di suscitare l’ira dei sindacati e dei lavoratori stanchi di subire ricatti da un’azienda che continua, nel suo braccio di ferro con il governo, a dettare l’agenda sul futuro ambientale, occupazionale e produttivo di Taranto e dell’intero Paese”. Per Fiom Cgil inoltre non ci sarebbero state sospensioni per gli ordini già ricevuti da Arcelor, ma solo un rallentamento che non giustificherebbe le azioni aziendali.
Con queste ultime collocazioni in cassa, il numero di lavoratori nello stabilimento tarantino scende sotto le tremila unità. Ma è soprattutto la modalità utilizzata da Arcelor che preoccupa i sindacati. L’azienda, pur avendo a disposizione una clausola che entro la fine dell’anno permetterebbe di lasciare gli impianti italiani con il pagamento di una penale, sembra intenzionata ad alzare un nuovo polverone per arrivare a un altro scontro col Governo e provare a negoziare nuove condizioni per l’uscita.
L’Usb denuncia inoltre la crescita dei licenziamenti nella fabbrica sostenendo che “negli ultimi tempi diversi lavoratori hanno ricevuto la comunicazione da parte dell’azienda che tra l’altro adduce futili motivi” e accusa di “strafottenza” l’ad Lucia Morselli e altri dirigenti definiti “coerente espressione di un’azienda che, a nostro avviso, non ha alcuna intenzione di onorare gli impegni presi col governo, che ancora non paga le ditte dell’appalto e che continua in ogni modo a dettare legge, non rispettando neanche le Istituzioni”.
Fiom e Usb, quindi, hanno chiesto al governo un incontro per trovare una soluzione che, tuttavia, sembra ormai abbastanza chiara. ArcelorMittal lascerà Taranto, ma non è ancora certo che lo farà alle condizioni dettate dall’accordo con l’esecutivo.