Si complica la vertenza dello storico quotidiano di Puglia e Basilicata: dopo l’annuncio dell’editore di messa in liquidazione, nelle scorse ore l’assemblea dei soci è andata infatti deserta. E i giornalisti lamentano l'assenza della classe politica e imprenditoriale locale
La Procura della Repubblica di Bari ha chiesto il fallimento di “Edisud”, la società editrice de La Gazzetta del Mezzogiorno. Si complica la vertenza dello storico quotidiano di Puglia e Basilicata: dopo l’annuncio dell’editore Mario Ciancio Sanfilippo di messa in liquidazione, nelle scorse ore l’assemblea dei soci è andata infatti deserta. Non c’era alcun rappresentante per Ciancio, socio di maggioranza, ma neppure per i soci di minoranza tra i quali Valter Mainetti che nei mesi scorsi, durante l’amministrazione giudiziaria collegata al sequestro delle quote per l’inchiesta che ha travolto Ciancio, aveva depositato una domanda di concordato in tribunale. Nell’assemblea, Ciancio avrebbe dovuto nominare il consiglio di amministrazione di Edisud, ma così non è stato. “Mossa prevedibile – scrivono i giornalista della Gazzetta – dopo l’annuncio di volersi disimpegnare dalla gestione del giornale attraverso una procedura di liquidazione, che non si è potuta comunque realizzare”.
Il calvario per i giornalisti, i poligrafici e gli amministrativi del quotidiano fondato 133 anni fa, è iniziato il 24 settembre 2018 quando la procura antimafia di Catania mise i sigilli ai beni di Ciancio Sanfilippo per un valore di 150 milioni di euro: tra questi furono bloccate anche le quote della Gazzetta, de La Sicilia (quotidiano catanese), le emittenti televisive regionali Antenna Sicilia e Telecolor e la società che stampa quotidiani Etis. L’accusa nei confronti dell’editore siciliano era di concorso esterno in associazione mafiosa per aver agevolato con la sua attività alcune famiglie mafiose di Catania. Il 24 marzo scorso, però, la Corte d’appello di Catania ha dissequestrato i beni con un provvedimento che, entrando nel merito della vicenda, aveva affermato che “in nessuna delle singole condotte esaminate può dirsi raggiunta la prova di alcun consapevole contributo in favore” della mafia sebbene tra l’imprenditore e le famiglie catanesi “si sia progressivamente consolidato nel tempo un rapporto di ‘vicinanza/cordialità’”.
In sostanza per i magistrati, la mafia avrebbe imposto un “rapporto di protezione” attraverso il pizzo per evitare ritorsioni e continuare a svolgere la propria attività. Una tesi che invece Ciancio ha sempre negato. Lo sblocco dei beni, aveva generato nei lavoratori la speranza di un ritorno alla normalità: un’illusione durata solo poche settimane fino all’annuncio di Ciancio di voler lasciare le redini del quotidiano. E la decisione della procura di chiedere il fallimento della società è stata causata proprio dalla concretizzazione di questa volontà manifestata con l’assenza in assemblea. Nei giorni scorsi, i giornalisti, hanno denunciato la gravità della situazione sottolineando come, al di là della solidarietà, intorno alla vicenda siano grandi assenti la politica e l’imprenditoria pugliese e lucana. Nessuna cordata, insomma, sarebbe al momento intenzionata a rilevare il giornale barese nonostante i dati Audiweb confermino come anche nel mese di marzo il sito della Gazzetta abbia raddoppiato i lettori confermando la leadership dell’informazione del giornale in Puglia e Basilicata.