Eccolo, in tutta la sua maestosa lunghezza – 537 pagine – e nella sua grondante densità storico epidemiologica virologica di almeno cento anni. Spillover di David Quammen (Adelphi – edizione tascabile) lo abbiamo letto tutto, succhiato fino al midollo, virus, batteri e agenti patogeni vari. Anche perché in questi mesi di lockdown ce la siamo un po’ fatta sotto e un signore che nel 2012 aveva previsto con una frase secca, perentoria, predittiva, quello che stiamo tragicamente vivendo, perlomeno gli si doveva dare un’occhiata. Intanto la frase che appare a pagina 219: “È ipotizzabile che la prossima Grande Epidemia (il famigerato Big One) quando arriverà si conformerà al modello perverso dell’influenza, con alta infettività prima dell’insorgere dei sintomi. In questo caso si sposterà da una città all’altra sulle ali degli aerei, come un angelo della morte”. Prenderci ci ha preso, ma è stata un po’ buttarla lì. Perché Spillover, letteralmente salto di specie, quindi il processo naturale per cui un patogeno degli animali evolve, infetta, si riproduce e si trasmette all’interno della specie umana, non è la formula magica su come è nata la Sars CoV-2. Bensì una ricognizione chiara ed esaustiva, benché brulicante e talvolta stordente, su una quantità impressionante di virus e batteri che sono tracimati dalla specie animale finendo, in oltre cent’anni di patologie assortite, spesso ad uccidere improvvisamente l’uomo. Elenco sì, con qualche ipotesi “contagiosa”, insomma, ma non palla di vetro. Ecco quindi che l’introduzione in mezzo all’Australia con quei poveri cavalli che muoiono cadendo come birilli per l’Hendra, infettano qualche uomo sì e qualche altro no, ha il sapore di un thriller ben congegnato e immediatamente esemplare di uno schema epidemiologico che si ripeterà toccando, tra le decine di altri, l’Ebola e la più conosciuta Sars. Come scriveva il collega Alessio Bianchi, Spillover è “un diario industriale americano molto ben confezionato” con un impianto narrativo legato al succedersi di esempi sanitari mondiali più che al consequenziale accadimento della patologie illustrate. Insomma uno spillover stilistico che dondola di continuo tra il diario minimo dello scoprire e l’affresco bizzarro della scoperta, compreso tutto quell’armamentario tecnico-scientifico che abbiamo imparato in queste settimane di quarantena (l’indice erre zero, gli anticorpi che possono rilevare il virus già “digerito”). Nell’indefinibilità del “dipende”, concetto chiave con cui ti puoi attaccare al trenino delle ipotesi (e a cui si attaccano anche tanti virologi attualmente tonanti che prevedono l’imprevedibile – ripassare la differenza tra possibilità e probabilità male non farebbe), Quammen sciorina una perfidia e un cinismo non trascurabili, ma alcuni insegnamenti generali li dà. Anzi uno in particolare: smettiamola di invadere il terreno proprio e naturale degli animali, smettiamola di gonfiarli di antibiotici per cibarcene (il capitoletto con lo scienziato cinese che va al ristorante a mangiare cicogne, gabbiani, coccodrilli, cani, gatti e, of course, pipistrelli, è ributtante ma significativo della deriva carnivora dell’uomo). Distruggere ecosistemi e sfidare la natura ti torna indietro come un boomerang. Anzi, come un coronavirus. Voto: 7
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