Infine è tornato in bella mostra sugli scaffali di ogni libreria che si rispetti L’epidemia di Per Wahloo. Romanzo sagace, fulminante, politico, abbastanza succinto, scritto nel 1968 che Einaudi pubblicò nel 2014. La ri-apparizione all’epoca del Coronavirus non è proprio campata per aria, anzi. In un’atmosfera da “città verrà distrutta all’alba”, si muove con fare silente e ombroso il commissario Jensen. O meglio: in una società affine al modello welfarista socialdemocratico svedese, il commissario Jensen visto il dolore lancinante e continuo sta per andarsi ad operare al fegato. E lo farà laggiù, probabilmente in qualche ospedale del nord Africa. Tempo di lasciare ordini ai suoi inferiori, mal digeriti, chiacchierare con il medico del distretto, attraversare minacciosi cortei di protesta in strada, che Jensen riapre gli occhi su un letto nella fase post-operatoria. Nessuno gli parla, in una situazione di incomunicabilità alla Epepe di Karinthy, se non alcuni funzionari dell’aeroporto di una nazione confinante e non amica alla sua che lo obbligano ad incontrare il primo ministro del suo paese. In questo stanzino attorniato dalle giovani, spigliate, democratiche, e finto affabili, alte cariche di stato, Jensen verrà incaricato di tornare clandestinamente in patria da dove non arrivano più notizie e dove sembrano non esserci più segnali di vita per scoprire cosa è accaduto. L’epidemia è un falso crime scandinavo, con una lucidissima e stuzzicante carica politico metaforica che sbatte sotto al naso del lettore una serie di dinamiche antidemocratiche del potere nella ricerca del consenso, qui tradotto nell’uso di un composto chimico per stordire e far tacere ogni opposizione interna, quindi più in generale ogni dissenso. Alcuni tratti sinistri del momento attuale che stiamo vivendo fanno impressione (la dittatura medico-sanitaria, la trasformazione delle socialdemocrazie nel blocco politico democratico della “Concordia”, ecc..). Anche se ciò che affascina in questa particolare forma mentis compositiva autoriale, culturalmente anni sessanta, è la figura di Jensen, sorta di testimone muto, apolitico e antieroico, privato magistralmente di un substrato psicologico e intimo, una specie di funzione letteraria attraverso la quale viene esplorato spazio, tempo e significato del racconto. In forma di interrogatorio dialogico, poi, attorno a due-tre testimoni viene illustrato il mistero dell’epidemia, qui nata volontariamente in laboratorio. Lettura estremamente consigliata che vi lascerà depositate tracce di inquieta paranoia complottista. La battuta sul cammello nell’ultima pagina corona uno dei dialoghi (Jensen-medico del distretto) letterari più intriganti di sempre. Voto: 8
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