Lo abbiamo già scritto su questo blog: in Italia, specialmente nel settore della tutela ambientale, le emergenze sono state molto spesso utilizzate per eludere la legge con deroghe, proroghe e normative di favore. Ma oggi, col Covid-19, si sta veramente esagerando.
Prima ha iniziato il ministero dell’Ambiente con una circolare in cui, paventando “criticità” nel settore dei rifiuti, ha suggerito alle Regioni e ai Comuni di ricorrere ad ordinanze contingibili e urgenti per consentire, in deroga alla normativa, di aumentare in modo spropositato la durata e le quantità di rifiuti che possono essere temporaneamente stoccati e depositati in attesa di recupero o smaltimento; e di aumentare al massimo, in deroga alle autorizzazioni rilasciate, le capacità di smaltimento degli inceneritori e delle discariche esistenti. Di modo che le deroghe sono diventate la regola.
Poi è intervenuto il Parlamento che, convertendo in legge il decreto Cura Italia, ha inserito un articolo (113 bis) che ha direttamente modificato la legge ambientale esistente per aumentare in via definitiva – cioè per sempre, a prescindere dalla Covid – i limiti quantitativi e temporali fissati per il deposito temporaneo di rifiuti; il deposito cioè dei rifiuti presso il luogo di produzione per il tempo strettamente necessario all’avvio a smaltimento o recupero e che, proprio per questa provvisorietà, in Italia può essere effettuato liberamente, in deroga alla regola comunitaria per cui ogni operazione di gestione di rifiuti deve essere preventivamente autorizzata dall’autorità competente.
Tanto è vero che “qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno” viene considerato dalla legge (sulle discariche) addirittura come discarica. Ebbene oggi, con questo articolo, un’azienda può tenere in deposito fino a 60 metri cubi di rifiuti, di cui 20 pericolosi, senza autorizzazione, senza darne conto a nessuno e, praticamente, senza controlli (anche e soprattutto sulle quantità), addirittura per un anno e mezzo (altro che discarica). Senza rischiare niente se poi, in questi 18 mesi, i rifiuti scompaiono e, magari, finiscono illecitamente in qualche capannone, in qualche discarica abusiva, nella Terra dei fuochi, in terreni destinati all’agricoltura o in qualche rogo.
Ma chi ha voluto questo capolavoro? Ebbene, l’emendamento che lo ha introdotto è stato firmato, in commissione Industria del Senato, dai tre parlamentari di Forza Italia Gallone, Toffanin e Siclari, che però lo hanno concordato con il governo; ed è quindi passato con il parere favorevole del governo. Anzi il “merito” è stato direttamente rivendicato dall’attuale ministro dell’Ambiente, il quale, nella sua audizione alla Commissione ecomafia del 5 maggio, riferendo su questa bella novità legislativa si è vantato del suo “stile laico”, per cui “l’emergenza si gestisce indipendentemente dal colore politico”.
Meno male che ora qualcuno se ne è accorto. Le parlamentari Leu De Petris e Nugnes hanno appena depositato un’interrogazione in cui, tra l’altro, chiedono conto di questa vergogna al ministro dell’Ambiente, evidenziando che non ha niente a che fare con il pericolo di un aumento di rifiuti dovuto alla emergenza Covid, visto che dalle dichiarazioni concordi rese (il 5 e il 7 maggio) alla Commissione ecomafia dal ministro dell’Ambiente e da direttore e dai funzionari Ispra emerge che in Italia non risulta alcun problema particolare per i rifiuti in connessione con l’emergenza Covid, in quanto i rifiuti urbani (sia da differenziata sia da indifferenziata) sono notevolmente diminuiti a causa della contrazione del turismo e della chiusura di molte attività commerciali; così come gli inceneritori esistenti hanno capacità più che sufficienti (180.000 tonnellate) per far fronte subito, senza problemi, all’aumento di rifiuti sanitari, quali mascherine, guanti ecc.
E quindi chiedono al ministro di sapere “per quali motivi abbia dato parere favorevole ad inserire in un decreto legge per l’emergenza Covid-19 una disposizione che contiene una deroga rilevante alla normativa esistente con corrispondente aumento di rischi ambientali, non finalizzata a questa emergenza e alla sua durata, ma permanente nel tempo” e se, di conseguenza, “non valuti la necessità di attivarsi al fine di abrogare il citato art. 113 bis”.