C’è stato un momento in cui sembrava esistesse solo il Covid-19. Non si parlava d’altro. Io vivo in periferia, più delle sirene delle ambulanze mi arrivano quelle degli allarmi delle case intorno. Molti di noi hanno rimosso l’esistenza degli altri problemi. Non al drop-in dell’Unità di Strada dell’Ausl di Parma, che non si è mai fermato.
Si trova in una di quelle periferie dove la gente preferisce non passare, a poche centinaia di metri da dove, il sabato mattina, centinaia di persone si ammassano per fare incetta degli avanzi di frutta e verdura ai mercati generali. Vite disperate, che la routine comune preferisce condannare prima che capire. Al drop-in lavorano educatori sanitari che la maniacalità di eroismo collettivo non contempla.
“Lavoriamo alla riduzione del danno” mi dicono, “facciamo in modo che chi è senza tetto, che fa uso di sostanze… se ne vada in giro il meno possibile. Qui possono trovare una siringa monouso, farsi la barba, chiedere consulenza ad un avvocato, prenotare visite, prendersi un caffè, guardare internet per cercare lavoro, iscriversi a mensa, un posto letto… cose di cui non puoi proprio fare a meno… questo fino al lockdown. Da quel momento abbiamo dovuto adeguare il servizio: mascherina per tutti, nessun assembramento, entrano uno alla volta, distanze di sicurezza. Tutto quello che ogni cittadino dovrebbe rispettare, rispecchiando anche quella parte di cittadini che non sempre si attiene alle regole”.
Il personale di questo avamposto sanitario non ha mai smesso di esserci, per questo durante il lockdown sono stati molti i nuovi utenti che si sono presentati per ricevere un aiuto. Sono avanzi di umanità che l’umanità più fortunata preferisce scostare, come il sacchetto dei rifiuti abbandonato davanti all’uscio sbagliato. “Te l’immagini un ‘tossico’ che fa la fila davanti a una farmacia per chiedere una mascherina o una siringa?“.
Mi è facile immaginare la reazione degli altri, il problema non sarebbe più chi salta la fila… “Tra gli utenti, per chi è solo è peggio… per chi, costretto nella quarantena, ha qualche legame famigliare abbiamo visto il miglioramento, la costrizione domestica ha riallacciato rapporti sociali“. Succede anche tra chi non fa uso di sostanze, scoprire che il tuo vicino di casa esiste, per esempio.
Si avvicina un utente, chiede un consiglio, parla a bassa voce, chiede per favore un paio di mutande. A due metri da me il mondo capovolto: lui è senza mutande, io ho finito il toner della stampante, problemi la cui differenza meriterebbe un chiarimento senza alcun facile giudizio. Ne arriva un altro, chiede un pezzo di scotch e lo mima come se quel pezzo fosse un bilanciere da 100 kg sollevato dalla scrivania.
Nessuno degli utenti ha contratto il Covid-19 (da non dire a certe testate, titolerebbero “Drogatevi che non vi ammalate”, Libero lo ha fatto per la nicotina).
“Il nostro è un lavoro di relazione, fatto di sguardi, sorrisi, pacche sulle spalle, non certo di distanziamento sociale… in questo il nostro lavoro è cambiato e in questo momento s’è trasformato in una cosa individuale, all’aperto, a un metro di distanza, con la mascherina, dove cerchi comunque di far vedere alla persona che le sei vicino. Da una settimana abbiamo ripreso l’attività anche sulla strada, è difficile parlare con chi si aggrega, parlarsi da lontano… e questo fa sì che dobbiamo ancora capire come la strada si trasformerà”.
Mentre il “distanziamento sociale”, nella vita quotidiana, è il difetto lessicale che voleva dire “distanziamento fisico” e che di fatto ha ridefinito chi era indifferente anche prima.
La periferia di Parma è come le periferie di altre città, confini che ti può andar bene ma anche periferie che possono essere vite di confine, dove vivi rasente quella degli altri perché nessuno ti vuole. Mi scuso con tutti se ho acceso un piccolo riflettore su questa storia, basterà spegnerlo perché torni a non vedersi.
Gli educatori sanitari dell’Unità di Strada hanno continuato ad esserci, continuando nell’impegno della “riduzione del danno”, lasciando ad altri il danno dell’indifferenza.