È “America First” anche nella ricerca di un vaccino. Donald Trump assicura che entro la fine dell’anno gli Stati Uniti avranno un vaccino capace di debellare l’epidemia da Covid-19. Intanto nomina un boss di aziende farmaceutiche e un generale a quattro stelle per guidare l’“Operation Warp Speed”, la task force incaricata di selezionare i differenti esperimenti, procedere con i test clinici e iniziare la produzione di un vaccino entro la fine dell’anno. Soprattutto, in questo come in altri campi, l’amministrazione mostra la volontà di procedere in modo aggressivo, da sola, al di fuori di un quadro di collaborazione globale, spesso anzi in competizione con amici e rivali. La leadership che gli Stati Uniti hanno assunto in altri momenti e in altre emergenze sanitarie – vaiolo, polio, morbillo – è ormai solo un ricordo.
La task force per il vaccino – Moncef Slaoui e Gustav Perna sono gli uomini messi in queste ore da Trump ai vertici di “Operation Warp Speed”. Slaoui ha guidato la divisione vaccini dell’inglese GlaxoSmithKline, dove ha gestito la produzione di farmaci come il Rotarix (contro la diarrea nei bambini) e il Cervarix (che combatte infezioni virali che possono condurre al cancro cervicale). Una volta in pensione, Slaoui è stato cooptato nei board di diverse case farmaceutiche, tra cui Moderna, i cui esperimenti sul vaccino sono stati definiti “promettenti da Anthony Fauci, alla guida del team anti-Covid di Trump. Perna è invece un esperto di logistica militare. Dal 2016 è al comando dello U.S. Army Material Command, che si occupa proprio di approvvigionamenti per l’esercito americano in tutto il mondo. Sull’“Operation Warp Speed” l’amministrazione ha per il momento offerto pochi dettagli. Non si sa esattamente quali fondi avrà a disposizione né quale sarà il rapporto con i “National Institutes of Health”, gli uffici del governo che stanno già coordinando gli sforzi nella ricerca di una cura.
Le ambizioni – “Penso che avremo un vaccino entro la fine dell’anno, e penso anche che la distribuzione avverrà quasi simultaneamente perché abbiamo attivato l’esercito”, ha detto Trump. La strategia appare piuttosto chiara: unire aziende farmaceutiche private, agenzie del governo e settori militari per bruciare i tempi ed arrivare alla fine dell’autunno al vaccino – l’“Operation Warp Speed” ha al momento identificato almeno 14 progetti di ricerca promettenti. L’obiettivo dell’amministrazione è arrivare a 100 milioni di dosi entro novembre, 200 milioni entro dicembre e 300 milioni entro il gennaio 2021. La cosa è stata definita, con un certo scetticismo, “straordinariamente ambiziosa” dal senatore repubblicano Lamar Alexander e non è presa seriamente in considerazione dagli stessi esperti medico-sanitari americani. “Non avremo il vaccino prima di uno, due anni”, ha detto Fauci.
“America first” e da sola – Il fatto è che – soprattutto per ragioni politiche interne, legate alla necessaria ripresa dell’economia e alle imminenti elezioni politiche – Trump ha bisogno di anticipare i tempi, promettere, mostrare che la macchina del governo funziona perfettamente. E come molte altre volte nella storia recente – si tratti di politica militare, diplomazia, commercio – questa amministrazione si trova ad agire da sola e mostra una totale assenza di leadership. A un evento virtuale promosso dall’Unione Europea in cui sono stati raccolti otto miliardi di dollari, il “Coronavirus Global Response”, c’erano i rappresentanti di Giappone, Gran Bretagna, Cina, Canada, Turchia, Arabia Saudita, di molti Stati africani, del WTO e della Gates Foundation. Mancava un rappresentante statunitense. Non c’erano americani (e in realtà nemmeno cinesi) all’iniziativa promossa lo scorso 25 aprile dal WTO. E Washington non ci sarà nemmeno al previsto global summit il prossimo 4 giugno.
“È l’approccio dell’andar da soli che domina nell’amministrazione americana – ha detto Stephen Morrison, che guida i programmi sanitari del “Center for Strategic and International Studies” . “Il rischio è che le strategie americane intralcino gli sforzi internazionali per combattere il virus e creino tensioni, incertezze e insicurezza”. Il blocco dei fondi al WTO è dunque solo un episodio di una più vasta politica, che sostituisce il principio del coordinamento con quello della competizione. Lo si è visto recentemente, quando l’amministrazione Trump ha cercato di acquisire in esclusiva i diritti delle ricerche sul vaccino di una compagnia tedesca, la CureVac. L’azienda e i portavoce dell’amministrazione hanno negato la notizia, ma funzionari del governo tedesco l’hanno risolutamente confermata e condannato la mossa.
La guerra alla Cina – La vera competizione non è comunque con l’Europa, che mostra la volontà di agire soprattutto all’interno del quadro indicato dal WTO e che, attraverso proprie istituzioni e aziende, sta collaborando proficuamente con entità Usa, se non con il governo Usa. Due esempi per tutti: il Pasteur Institute di Parigi e Themis, una compagnia biomedica austriaca, lavorano con il “Center for Vaccine Research” della University of Pittsburgh; e il Wistar Institute di Philadelphia lavora a un vaccino insieme ai tedeschi di Richter-Helm BioLogics. La competizione vera è appunto con la Cina. In una rarissima dichiarazione comune, lo scorso 13 maggio, FBI e Homeland Security Department hanno accusato Pechino di voler rubare proprietà intellettuale nella ricerca per vaccini e test. “Il furto potenziale di queste informazioni mette a rischio la battaglia per trattamenti sicuri ed efficienti”, scrivono le agenzie del governo.
Il fatto è che diversi membri dell’amministrazione Trump ritengono che per la Cina sia oggi vitale trovare un vaccino – per ragioni politiche, mediche, economiche. “Sanno che chiunque oggi riesca a produrlo, fondamentalmente governa il mondo”, ha detto anonimamente un funzionario della sicurezza nazionale a Politico.com. Per Pechino e per il partito comunista cinese si tratta ovviamente di una questione di immagine internazionale, pesantemente intaccata dalla diffusione del virus. Ma si tratta anche e soprattutto di una questione economica. Un’ampia campagna di vaccinazioni consentirebbe alla Cina di “riaprire le sue aziende globali”, fa notare Ross McKinney Jr, dell’“Association of American Medical Colleges”. C’è infine una questione di carattere diplomatico. “Offrire” il proprio vaccino ai Paesi più colpiti dal Covid-19 allargherebbe la capacità di influenza a livello di globale di Pechino.
I rischi dell’aggressività Usa – Questo quello che in molti pensano nell’amministrazione e che spinge Washington a una politica molto aggressiva. La strategia appare rischiosa per due ordini di motivi. Da un lato allontana ancora di più gli Stati Uniti dagli antichi alleati e nuoce alla capacità americana di gestire le emergenze internazionali. Dall’altro pare molto difficile che un governo, fosse anche quello Usa, possa indirizzare a proprio esclusivo vantaggio la scoperta di un vaccino. L’infrastruttura sanitaria globale è un complesso amalgama di corpi governativi, aziende private, Ong, fondazioni, accordi multilaterali, condizionamenti nazionali. Sinergie, forme più o meno strette di collaborazione esistono ovunque, anche tra i due grandi “rivali”. Quest’anno scienziati cinesi e statunitensi hanno prodotto 407 ricerche sul tema coronavirus, e lo scorso gennaio Inovio Pharmaucetical, con base in Pennsylvania, ha annunciato un progetto di collaborazione sul vaccino con la cinese Advaccine Biotechnology.
Difficile dunque, in questo contesto, gestire e vincere una battaglia nazionalistica sui vaccini. Un esempio è venuto in queste ore, dopo che Paul Hudson, direttore generale della francese Sanofi, ha annunciato che la sua azienda distribuirà negli Stati Uniti, prima che in Europa, un eventuale vaccino (il governo americano, lo scorso febbraio, ha finanziato Sanofi con 30 milioni di dollari). La reazione del primo ministro francese Edouard Philippe, secondo cui un vaccino sarebbe “un bene pubblico mondiale”, ha portato all’immediata rettifica da parte dell’azienda. L’aggressività mostrata da Trump in queste settimane in tema di soluzioni contro il Sars Cov 2 fa dunque parte di un approccio ideologico che Trump, crisi dopo crisi, ha applicato in questi anni. “È il suo modo di mandare un messaggio all’opinione pubblica interna – ha spiegato ancora Stephen Morrison, del “Center for Strategic and International Studies” – e dirgli che noi ci muoviamo da soli, che non ci affidiamo agli altri, che otterremo risultati in modo più veloce e furioso”. In altre parole, per Trump, è ancora una questione di “America First”.