“Siamo stati abbandonati e la continuità dei servizi alle persone più deboli adesso è a rischio. È mancata una linea precisa e chiara da parte dello Stato e poi della Regione. Giorno dopo giorno, molte famiglie hanno visto vanificare il lavoro di anni”. Le associazioni che tutelano i diritti delle persone con disabilità del Veneto denunciano il tentativo di far pagare ai disabili e alle loro famiglie, prostrati da mesi trascorsi senza aiuti, il prezzo della crisi da coronavirus. Dopo aver atteso un segnale positivo dal palazzo della Regione, le 16 strutture dell’Anffas presenti sul territorio hanno scritto al governatore, Luca Zaia, lanciando un disperato allarme. Solo allora da Palazzo Balbi è arrivata, come risposta, la bozza di un documento per “la graduale riattivazione dei servizi semiresidenziali per persone con disabilità”. Si tratta delle linee guida per far riprendere i servizi. “Ma noi ci aspettiamo di più, a cominciare dai rimborsi delle rette che vogliono tagliare”, spiega Gabriella Lazzari Peroni, presidente regionale dell’Anffas, a nome di diecimila famiglie.
Sul tavolo sono stati messi numerosi problemi. Innanzitutto il rimborso totale delle rette. “Il decreto Conte del 17 marzo garantiva il pagamento al 100%. Invece la Regione ha detto di volerci dare solo il 75 per cento. I centri saranno anche rimasti chiusi, ma le spese fisse per personale e mantenimento delle sedi non sono minori, anzi maggiori. Solo dopo esserci fatti sentire abbiamo ottenuto un’aggiunta del 15 per cento, ma solo a patto che venissero svolte altre attività”. Quindi si arriva al 90%: “Si, ma per noi i costi sono del 130%. Pensiamo ai trasporti, prima si riempiva un pulmino, adesso dovremo ripetere i viaggi per prendere e riaccompagnare un numero minore di utenti alla volta. E i costi per i mezzi di protezione?”.
Gabriella Lazzari è determinata. “Confermo, abbiamo scritto a Zaia che le famiglie sono state lasciate sole. E adesso vedono messo in discussione il diritto a un’assistenza adeguata per i loro cari. Inizialmente la Regione voleva lasciare a carico nostro anche la responsabilità sanitaria della riapertura. Lo abbiamo respinto, non avendo le nostre strutture semiresidenziali la disponibilità né l’obbligo di avere una direzione sanitaria. È più realistico che se ne occupino le Ulss di riferimento. Su questo punto hanno fatto marcia indietro. Ma ce n’è un altro”.
Quale? “Rimane la responsabilità civile del legale rappresentante di un’associazione nei confronti dei lavoratori. Significa che se un dipendente si ammalerà di coronavirus, l’associazione sarà responsabile di eventuali risarcimenti”. Però la Regione ha previsto un percorso preciso per ridurre quel rischio: apertura di Ceod (Centri Educativi Occupazionali), centri semiresidenziali per ragazzi e adulti disabili, tirocini sociali e occupazionali con gruppi di cinque persone e operatori stabili, “in spazi predefiniti”. Obbligo di mascherine, guanti e gel, per gli operatori, lavaggio frequente delle mani per gli utenti. Attività in sede solo per mezza giornata. E poi screening preliminare di educatori e operatori, con ripetizione del tampone nasofaringeo ogni 20 giorni e del test sierologico rapido ogni 10 giorni. “E questo è un altro punto dolente. Il tampone è invece previsto per gli utenti sola una volta, al momento della riammissione. Perché non viene ripetuto? Neanche l’assessore regionale ha saputo risponderci. Non si fanno controlli successivi proprio su chi sarà esentato da mascherine e guanti e quindi è più vulnerabile. Però se qualcuno si ammala, ne rispondiamo noi. E si pretende pure che gli operatori si facciano carico di accertare la sintomatologia, anche se non hanno una formazione sanitaria specifica”.
Dopo aver scritto la lettera, Anffas ha ricevuto un piano dalla Regione. “Noi risponderemo facendo il calcolo dei nostri costi supplementari. Se non lo diciamo ora, c’è il rischio che a Venezia pensino che ci va bene tutto. Come nel 2016, quando siamo stati zitti di fronte alla legge regionale 740 che ha ridotto da 240 a 227 i giorni di apertura annua dei centri”. Il rammarico? “I nostri politici, così preoccupati per l’economia, devono capire che noi non abbiamo un fatturato come le aziende. I nostri bilanci dipendono esclusivamente dai finanziamenti pubblici. Temiamo che l’attuale situazione diventi la nuova ‘normalità’, mentre dopo l’emergenza i servizi devono tornare a funzionare come prima”.
La Regione Veneto, pur interpellata da ilfattoquotidiano.it, non ha ritenuto di rispondere alle osservazioni critiche delle famiglie delle persone con disabilità.