Ma, infine, aveva ragione o torto, il Presidente Conte, quando, ringraziando noi artisti, diceva che lo abbiamo fatto divertire e appassionare?

Io, sinceramente, dopo un primo momento di scoramento, ci ho pensato un po’ su e mi sono convinto che no, non c’era ragione di scandalo alcuno.

Mi spiego: divertire significa volgere altrove, uscire dal proprio cammino, e proprio questo era lo scopo di Boccaccio nello scrivere il Decamerone, offrendo – all’indomani della peste – vita dove era stata solo morte, mentre appassionare, in sé, pare proprio l’obbiettivo di ogni artista. Fare il giullare mi pare, d’altra parte, un onesto e a volte indispensabile mestiere, anche se rivendicare per sé il merito di aver spento ogni protesta, come ha fatto qualcuno, mi pare un pleonasmo di pessimo gusto, visto che divertire non è affatto sinonimo di distrarre.

Ciò che mi ha infastidito in questi mesi di lockdown era piuttosto che, in questo tripudio di sentimentalità, all’arte fosse preclusa una strada che la migliore batte volentieri, quella della riflessione e della conoscenza.

Sarebbe stato il caso piuttosto di scandalizzarsi per il profluvio di arte consolatoria e da ‘intrattenimento’ che da più di due mesi ha invaso il web, dai big e ai primi venuti, dai Maestri fino all’ultimo degli allievi.

Milioni di letture di poesie, esecuzioni musicali, schitarrate, letture di classici, monologhi retorici e tromboni, fatti da chiunque per chiunque su tutto l’orbe terracqueo: una melassa di buoni sentimenti prodotta apposta per spegnere non soltanto ogni rabbia, ma anche ogni pensiero ed ogni analisi lucida e profonda di ciò che ci sta accadendo.

È proprio per questo, per reagire a questa marmellata irenica e rassicurante, che con Valerio Cuccaroni e l’aiuto dei coraggiosi giovani della redazione di Argo abbiamo immaginato e prodotto una trasmissione di arte e cultura in cui non si richiedesse agli ospiti di recitare le proprie poesie, o presentare i propri romanzi, o i propri dischi, ma invece di mettersi in gioco, di tentare con noi una cartografia diversa, una trama divergente che scoprisse le pieghe del non detto, smascherando tutti i trucchi e i badalucchi a cui chi comanda davvero è oggi costretto, davanti alla catastrofe che egli stesso ha provocato.

È nata così, più o meno in una settimana, durante la Fase 1, KatÀstrofi – Stati di eccezione televisibili, una trasmissione di WebTv che va in onda ogni mercoledì sul canale YouTube di Argo e a cui hanno già partecipato tanti amici che hanno voluto correre con noi il rischio della riflessione e del dibattito: perché l’arte sta là apposta a ricordarci che è più importante la vita, ma anche che una vita senza sentimenti, sensazioni, immaginazione, sogni, cioè senza linguaggi, è una povera vita, una vita che era in quarantena già da molto prima che il lockdown iniziasse.

Sono stati con noi in tanti e altri ne verranno, a incominciare dall’evento speciale di mercoledì prossimo che avrà come ospite uno dei pensatori e degli scrittori più lucidi della nostra contemporaneità, Franco Berardi (Bifo) accompagnato dal narratore Enrico Palandri.

Guardare alla pandemia dal punto di vista dell’arte (e del linguaggio) mi pare fondamentale, in questo delirio di scientismo (peraltro abbastanza impotente) che ci sta sommergendo e che ha avuto il solo risultato (peraltro utilissimo) di ricordare a tutti che la scienza nasce dal dialogo e che ha mille voci, non sempre concordanti, che non è, insomma, una religione.

Viviamo e sperimentiamo il reale non solo come corpi, ma anche come menti: abbiamo bisogno di un vaccino, tanto quanto di libertà. L’uno è inutile senza l’altra, e viceversa.

Se è biologica la ragione della nostra reclusione, allo scienziato toccherà di risolvere il problema scientifico, agli artisti (come ai filosofi e ai politici) non toccherà soltanto di divertire o appassionare, ma anche di riflettere sul senso e la ragione di questa reclusione, smascherando i discorsi che, consolandoci, ci allontanano dalla possibilità di riacquistare le nostre libertà.

Alla scienza tocca indicare i rischi che corriamo, ad altre discipline, quelle che una volta chiamavamo umanistiche, di suggerirci o di stimolarci a scoprire se, e fino a quando, correre questi rischi ci convenga o meno, in quanto esseri umani.

Ecco, lo scopo di KatÀstrofi è questo. Chiedere agli artisti di riflettere insieme per tentare di vedere in quello che ci sta accadendo ciò che uno scienziato, un medico, un epidemiologo o un biologo forse non possono vedere.

Di guardare a quanto sta accadendo attraverso le lenti dell’arte, che sono, sì, lenti sentimentali e appassionanti, a volte divertenti, ma che inducono i sentimenti a farsi pensiero e ci permettono da millenni di conoscere il mondo senza togliergli complessità, o negargli imprevedibilità. Per ricordarci che le ragioni economiche e scientifiche, mediche o tecnologiche sono ottime ragioni, ma non sono le uniche, né necessariamente le principali.

Per rilanciare la produzione, insomma, ovviamente dobbiamo essere e restare sani, ma se restiamo stupidi, poco male, anzi c’è chi continua a ritenerla una qualità augurabile del perfetto cittadino globalizzato. Non noi di KatÀstrofi.

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