Nel marzo del 2004 mio fratello Michele, malato terminale di leucemia, dopo aver cercato invano un medico che lo aiutasse a morire, si è suicidato gettandosi dal quarto piano della sua casa di Roma. Ho deciso di rendere nota la sua vicenda e di intraprendere così una battaglia per la legalizzazione della eutanasia, che Michele avrebbe certamente condiviso. Ho scritto una lettera a Corrado Augias, che le ha dato molto risalto e che per diversi giorni ha continuato ad essere commentata – e condivisa – dai lettori di Repubblica.

Dopo la vicenda di Piergiorgio Welby mi sono iscritto alla Associazione Luca Coscioni, dove ho avuto modo – circondato dalle persone straordinarie che portano avanti tante battaglie sui diritti civili – di dare metodo e continuità a questa difficilissima impresa, che trova l’opposizione delle gerarchie ecclesiastiche e la pavida acquiescenza di una vasta parte del mondo politico, contraria per convinzione o per opportunismo a quella “morte degna” che è già realtà – o si accinge a divenirlo – in diversi paesi del mondo.

Due punti di forza di questa mia battaglia sono stati l’eutanasia clandestina in ospedali e cliniche (20.000 casi l’anno secondo una indagine dell’Istituto Mario Negri) e i suicidi di malati (circa 1.000 ogni anno secondo i dati Istat).

Un terzo passo importante nella azione mia e della Associazione è stato il coinvolgimento dei congiunti di tre “suicidi illustri”: Luciana Castellina per Lucio Magri; la compagna di Mario Monicelli, Chiara Rapaccini; i due figli di Carlo Lizzani, Francesco e Flaminia. Con loro ho scritto, nel marzo del 2017, una lettera aperta al Presidente Giorgio Napolitano, che ci ha risposto a stretto giro e pubblicamente (come già aveva fatto con Piergiorgio Welby) esortando il Parlamento ad un “sereno e approfondito confronto di idee sull’argomento” e definendo questo confronto “ineludibile”.

Due passi importanti verso la legalizzazione della eutanasia sono stati l’approvazione della legge sul Testamento Biologico, nel dicembre del 2017, e la sentenza della Corte Costituzionale relativa alla vicenda Cappato/Dj Fabo.

La sentenza – che ha rimesso profondamente in discussione il reato di “aiuto al suicidio, previsto dall’articolo 580 del codice penale clerico-fascista del 1930 – è giunta dopo che la Corte aveva “concesso” al Parlamento di legiferare in materia entro il 30 settembre dello scorso anno: un termine che è stato lasciato cadere nel vuoto, un anno di totale immobilismo.

Il rifiuto del Parlamento non dico a legalizzare l’eutanasia ma almeno a discuterne (la prima proposta di legge in materia era stata presentata da Loris Fortuna nel 1985, e decine di altre se ne sono aggiunte da allora) è continuato anche dopo che l’Associazione Coscioni, nel settembre del 2013, ha depositato alla Camera e al Senato un ddl di iniziativa popolare con 76mila firme autenticate di cittadini (firme che nel frattempo sono diventate 135mila).

A quella della Associazione Coscioni si sono affiancate altre quatto proposte di legge depositate da parlamentari di diverso orientamento politico. Inoltre, è operante un Intergruppo Parlamentare per l’eutanasia cui hanno aderito oltre 70 parlamentari di tutti i partiti, con l’eccezione di Lega e Fratelli d’Italia. Infine, di anno in anno le principali ricerche demoscopiche rivelano un aumento costante degli italiani favorevole alla legalizzazione della eutanasia (fra il 73 e l’80 per cento).

Nei mesi scorsi, i dirigenti della Associazione, con Radicali Italiani, Uaar e Certi Diritti hanno scritto al Presidente Sergio Mattarella facendo presente il fatto che questo rifiuto di discutere, dopo sei anni dal deposito, una legge di iniziativa popolare e la non lontana fine della Legislatura vanificherebbero gli oltre sei anni trascorsi dal deposito della “nostra” legge.

Inoltre – conclude la lettera – si vanificherebbe così, di fatto, l’articolo 71 della Costituzione, in base al quale “il popolo esercita l’iniziativa delle leggi”, e si andrebbe contro “l’intento dei Padri costituenti che hanno voluto prevedere la partecipazione diretta dei cittadini alla fase legislativa”.

Il Presidente Mattarella – non dando seguito alla linea del suo predecessore – non ha risposto direttamente alla Associazione Coscioni, ma gli uffici del Quirinale hanno fatto sapere ai dirigenti della Associazione che il Capo dello Stato ha trasmesso la loro lettera, per competenza, al ministro per i rapporti con il Parlamento Federico D’Incà. Al quale, d’ora in avanti, non mancheranno né il nostro appoggio né la nostra pressante sollecitazione.

Aggiornato da redazione web il giorno 18 maggio alle ore 13

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