Dopo l’esplosione avvenuta nella fabbrica 3V Sigma di Porto Marghera e il grave ferimento di due operai, i lavoratori dello stabilimento attendevano dall’azienda bergamasca qualche spiegazione su quanto accaduto e sul loro futuro. Invece i loro rappresentanti sindacali, appena 24 ore dopo lo scoppio, hanno ricevuto una diffida. Una lettera formale, da avvocato ad avvocato, che contesta le dichiarazioni rese ai giornalisti da Giuseppe Callegaro, segretario provinciale Femca-Cisl, e da Francesco Coco, componente del direttivo dei chimici che ha seguito personalmente, negli ultimi tempi, la vertenza 3V Sigma.
Entrambi avevano ricostruito, con dichiarazioni pubbliche all’esterno dello stabilimento che ancora stava bruciando, due anni di un braccio di ferro interminabile tra lavoratori e azienda per ottenere migliori condizioni di sicurezza. Con lo stabilimento distrutto, in seguito all’esplosione di tank pieni di prodotto infiammabile e tossico, anche il prefetto di Venezia, Vittorio Zappalorto, ha dichiarato: “Non ha funzionato il piano di sicurezza interna”.
Ma la denuncia sindacale non è piaciuta a 3V Sigma. L’avvocato Gianluca Spolverato ha scritto una lettera all’avvocato Stefania Guidali, che assiste Femca-Cisl. “Nell’immediatezza di eventi come quello verificatosi, anche la controparte sindacale meno conciliante in genere pesa le parole – scrive il legale – In simili circostanze eccezionali, viene ritenuto opportuno abbandonare, sia pure soltanto per un breve lasso di tempo, i toni dell’aperto scontro. Non solo per evitare un inutile aumento della tensione, ma anche perché ogni dichiarazione resa quando ancora il quadro degli eventi non è chiaro rischia di risultare in seguito infondata e, pertanto, penalmente perseguibile”.
L’avvocato, a nome dell’azienda, accusa Coco e Callegaro di “dichiarazioni diffamatorie in relazione a circostanze che non conoscono e su cui certamente non compete loro pronunciare giudizi, per evidenti ragioni di personale protagonismo”. Un vero e proprio avvertimento a non accusare 3V Sigma di non aver tutelato la sicurezza, visto che i periti non si sono ancora messi al lavoro e gli esiti dell’inchiesta penale sono lontani. Anzi, “simili affermazioni sono idonee a danneggiare in primo luogo i dipendenti della società, che sono i primi pregiudicati dalle conseguenze di un inutile pregiudizio all’immagine del proprio datore di lavoro”.
I sindacalisti rilasciano un laconico, ma eloquente commento. “Due lavoratori sono rimasti feriti gravemente, la fabbrica è distrutta e l’amministratore delegato che è venuto in azienda non ha nemmeno incontrato i rappresentanti sindacali interni. Non ha detto nulla. Per noi è vergognoso – commenta Callegaro – E nel frattempo ci arriva una lettera di diffida legale”.
Intanto le condizioni dei due dipendenti, l’indiano Pramod e del rumeno Alin, restano gravi ma stazionarie. Saranno i pm incaricati dalla Procura della Repubblica a ricostruire le dinamiche dell’incendio, avvenuto nel punto in cui stavano lavorando alcuni operai di una ditta di manutenzione di Terni, la General Montaggi. Stavano saldando un tubo quando è avvenuta la prima esplosione. Le fiamme hanno raggiunto dei contenitori di liquido altamente infiammabile e si sono propagate a tutto lo stabilimento.
I sindacati hanno puntato subito il dito contro i tank da mille litri l’uno stoccati nel piazzale. È quello che avevano detto anche anche due mesi fa di fronte al prefetto di Venezia, quando l’azienda si era impegnata a intervenire. Adesso il prefetto ha riconvocato le parti, compresi gli ispettori dello Spisal che avevano accertato qualche irregolarità, ma non particolarmente grave, nello stabilimento.