Con sempre più frequenza, studi scientifici di organizzazioni internazionali e istituti di ricerca in tutto il mondo convergono verso un messaggio univoco: il futuro del pianeta è a rischio e per evitare il peggio dobbiamo diminuire in maniera drastica il nostro consumo di prodotti di origine animale.

Di fronte a questo messaggio, la reazione fisiologica di molti è chiedersi: perché bisognerebbe preoccuparsi degli animali quando nel mondo avvengono così tante ingiustizie e disastri? Perché, di fronte alle incertezze del futuro e alle difficoltà del quotidiano – soprattutto adesso, nel bel mezzo di una pandemia – dovremmo cogliere questo invito a mangiare più legumi e cereali?

La risposta è che molte delle ingiustizie e dei disastri ambientali che rendono il nostro pianeta inabitabile dipendono anche dalle nostre scelte alimentari. L’inquinamento atmosferico che l’anno scorso in Italia ha ucciso 76.200 persone, il riscaldamento globale e la scarsità d’acqua che mettono a rischio i nostri raccolti, e persino le pandemie come il Covid-19 sono tutti eventi legati a stretto filo con lo sfruttamento e l’allevamento intensivo degli animali.

Ed è vero: di fronte a questioni così grandi è difficile sentire di avere il potere, da soli, di cambiare qualcosa. Ed è altrettanto vero che non possiamo, come singoli, ridurre di molto le emissioni di CO2 nell’atmosfera, bloccare l’avanzata della desertificazione o evitare lo spillover di un virus.

In un sistema come quello attuale, un ruolo che ognuno di noi ha e su cui possiamo far leva è senz’altro quello di consumatori, ovvero decidere dove indirizzare i nostri acquisti. Nel concreto significa fare pressione, con le nostre scelte, sulla grande distribuzione organizzata (Gdo) e prendere decisioni apparentemente difficili, che vanno contro ogni pubblicità a cui siamo sottoposti ogni giorno: preferire i fagioli alle alette di pollo, un burger vegetale alla bistecca.

Secondo i dati Ipcc, l’industria della carne produce da sola il 15% delle emissioni globali, più dell’intero settore dei trasporti. Tra i vari tipi di allevamento, quello di bovini contribuisce enormemente alla quantità di metano che viene rilasciata nell’atmosfera.

L’allevamento bovino è inoltre la causa del 90% della deforestazione in Amazzonia, il polmone verde da cui dipende il destino dell’umanità. L’allevamento di bestiame sfrutta il 77% delle terre agricole del pianeta producendo soltanto il 17% del fabbisogno calorico globale e il 33% del fabbisogno proteico globale.

Se pensiamo invece allo spreco di risorse idriche, la carne ha un prezzo spaventoso: 15.000 litri di acqua per produrne 1 kg, mentre per ottenere 1 kg di legumi se ne utilizzano quasi 4 volte di meno. Un burger di soia ha un’impronta idrica pari al 7% del suo corrispettivo di carne.

Venendo all’attualità più stretta, sempre più dati scientifici dimostrano come i modelli di agri-business attuali siano colpevoli di aver creato le condizioni perché il Covid-19, assieme a una lunga lista di altri virus, abbia potuto proliferare ed essere trasmesso all’uomo.

Per questi motivi, le iniziative che promuovono un minore consumo di carne crescono ogni anno di più, coinvolgendo un numero crescente di persone. Una di queste è la Settimana Veg organizzata da Essere Animali, che quest’anno si terrà dal 18 al 24 maggio. La settimana Veg è un’occasione per scoprire una cucina 100% vegetale e quindi amica degli animali, sana e sostenibile. L’anno scorso più di 9.000 persone hanno preso parte all’iniziativa, mentre quest’anno gli iscritti sono già più di 13.000.

I partecipanti riceveranno gratuitamente un ricettario-guida con il menu base da seguire tutti i giorni curato da Elefante Veg, con i consigli nutrizionali della dottoressa Silvia Goggi e dei suggerimenti utili per fare la spesa. Inoltre, gli iscritti potranno entrare a far parte, tramite Facebook, di una comunità di persone con cui condividere la stessa esperienza.

Questa è un’iniziativa di cambiamento concreta che può davvero fare la differenza, basti pensare che fino ad oggi la Settimana Veg ha coinvolto oltre 60.000 persone, risparmiando la vita ad almeno 35.000 animali, con un enorme risparmio in termini di risorse idriche, del suolo e di gas serra rilasciati nell’atmosfera.

Ma Essere Animali è solo una delle moltissime realtà a promuovere una dieta più attenta all’ambiente. Vi abbiamo già parlato a gennaio di come molte mense in tutto il mondo abbiano ridiscusso i propri menù diminuendo, o addirittura eliminando, le proposte di carne.

Ad esempio, a partire da quest’anno le mense pubbliche di scuole, università e ospedali della Gran Bretagna ridurranno del 20% la carne presente nei loro menù. Questo settore fornisce il pranzo a 16 milioni di persone, pari a un quarto della popolazione del Regno Unito.

L’Università di Coimbra in Portogallo ha annunciato l’eliminazione della carne rossa da tutte le mense scolastiche, impegnandosi a diventare la prima università portoghese a zero emissioni. Allo stesso modo anche l’Università di Goldsmiths a Londra ha deciso di vietare la carne di manzo nella mensa e in tutti i negozi di cibo del campus.

Decidere di mettere al centro delle nostre scelte alimentari la salute di tutti gli esseri viventi e dell’ambiente ci permette di farci promotori attivi di un cambiamento. Se la popolazione mondiale adottasse una dieta a base vegetale, si avrebbe una diminuzione delle emissioni di quasi 8 miliardi di tonnellate di gas serra all’anno (l’equivalente delle emissioni annuali di India e Stati Uniti).

La posta in gioco è troppo alta perché il gusto o le abitudini ci impediscano di abbracciare uno stile di vita che permetta alle future generazioni di poter vivere e invecchiare sull’unico pianeta che abbiamo. Per usare le parole dello scrittore Mike Berners-Lee, “there is no planet B”.

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