MEMORIALE - LE STORIE DIETRO I NUMERI, PER RICORDARE CHI NON C'E' PIU - Non aveva ancora compiuto 55 anni, ma dopo aver fatto il marmista, il falegname e il magazziniere aveva partecipato al corso per diventare oss in Molise e trovato lavoro al Nord
Angelo era un siciliano della provincia di Agrigento. Aveva fatto il marmista, il falegname, il magazziniere, ma poi aveva lasciato la sua terra perché in Veneto aveva trovato un lavoro. E quando il contratto era diventato a tempo indeterminato, aveva trasferito anche la famiglia. Storie di emigrazione, sogni di nuova vita. Ma proprio a causa di quel lavoro, dopo un anno, Angelo è morto, ucciso dal coronavirus.
Faceva l’operatore sanitario a Conegliano, nella casa di riposo Fenzi, dove quasi il 60% dei 190 anziani si è ammalato come lui e una ventina di loro è deceduta. Adesso la Procura di Treviso ha aperto un’inchiesta e ha già fatto eseguire l’autopsia sui corpi di nove vittime. Tra di loro c’è anche Angelo Fantucchio, il primo addetto sanitario morto in Veneto.
La sua agonia è durata un mese e tre giorni. Il 19 marzo dell’anno di Covid-19 i primi sintomi. Poi il ricovero in ospedale, a Oderzo perché a Vittorio Veneto non c’era posto. Ha resistito fino al 22 aprile, senza poter ricevere il conforto di una visita dei familiari, come è accaduto a tutti i morti da coronavirus. Non aveva ancora compiuto 55 anni.
Di lui rimane una fotografia, scattata sul ponte della ferrovia Santa Lucia, a Venezia, e postata ora sul sito della cooperativa veronese che gli aveva trovato l’occupazione. “Noi operatori socio sanitari non possiamo, ma voi restate a casa”. Adesso che l’Italia si è rimessa in movimento quelle parole sembrano provenire già da un’altra epoca, i due mesi più drammatici sul fronte della pandemia. Ma che non si potranno dimenticare. Lui non poteva restare a casa, perché gli anziani di Casa Fenzi avevano bisogno del suo sorriso, del suo entusiasmo, del suo aiuto. La struttura è moderna, ariosa, piena di luce, a due passi dal centro di Conegliano. Eppure lì dentro, come in tante Rsa, si è vissuto il dramma.
“In molti mi sono stati vicini in questo mese – ha detto la moglie Anna ai giornali locali -, dai colleghi di mio marito ai medici. Ma vorrei dire che si dovrebbe essere più attenti perché mio marito è morto per la superficialità di qualcuno”. Parole che accusano. Quella struttura ha costituito davvero un punto nero nella già tetra geografia pandemica in provincia di Treviso. I vertici della Fenzi hanno accusato l’Usl di non aver fornito tempestivo supporto e adeguate precauzioni. Le autorità sanitarie trevigiane hanno replicato, con un durissimo annuncio del direttore Francesco Benazzi: “Il presidente di Casa Fenzi ci ha accusati impropriamente di non aver adottato tutte le misure necessarie. Ci hanno inoltre accusato di aver insabbiato le prove. Dichiarazioni gravi. La situazione è molto complessa. Abbiamo fatto una verifica interna all’azienda, con la massima trasparenza. Ed è proprio per questo che trasmetteremo alla Procura di Treviso le carte, perché siamo stati infangati ingiustamente”.
Di questo rimpallo di responsabilità Angelo Fantucchio non ha saputo nulla, ne è stato vittima. L’assunzione a Casa Fenzi risale al giugno del 2018, ma il contratto a tempo indeterminato era arrivato solo nel febbraio 2019. A quel punto, con la sicurezza di un lavoro fisso, aveva cercato casa e si era fatto raggiungere dalla moglie. Che ora ricorda: “Siamo stati accolti bene in Veneto. Si dice sempre che la gente del Sud è calorosa, ma qui ho trovato tante persone accoglienti, gentili, che mi sono state vicine”.
Angelo in Sicilia aveva fatto tanti lavori, poi a cinquant’anni si era rimesso in gioco. In Molise ha fatto il corso per diventare operatore socio sanitario. Pochi mesi dopo aver conseguito la qualifica ha sostenuto un colloquio in un’agenzia interinale per un lavoro al nord. “In tre giorni ha preso la decisione di accettare l’impiego e trasferirsi a Conegliano – aggiunge la signora Anna – Ho ammirato molto il suo coraggio. In Sicilia è difficile lavorare, è una terra che brucia tutto. Si lavora a nero per 500 euro al mese. Ma con queste cifre non si riesce a mantenere una famiglia”. E così ha inseguito il sogno della sicurezza occupazionale. “Mio marito amava il suo lavoro, lo faceva con passione. Aveva sempre una parola gentile, una carezza, un sorriso per tutti. Per quelli che lui chiamava ‘i miei nonni’ e per i suoi colleghi”. A Casa Fenzi i lo ricordano per la sua simpatia e positività. Adesso Angelo, vittima del lavoro e del coronavirus, è tornato in Sicilia, dove riposa nel cimitero di Aragona.